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gpdimonderosePosted: 24/4/2013, 15:37

...........l'oltremetafisicaEvENtodell'essere; la metafisica ha parlato degli enti, e ha ridotto Dio a un ente, ma ha ignorato l'essere, riducendo il pensare a un pensare "calcolante", che ha la sua compiuta realizzazione nella tecnica moderna. La tecnica, secondo H., non è un risultato dell'applicazione delle scienze esatte; al contrario, le scienze esatte sono sorte e si sono sviluppate all'unico scopo di servire la tecnica, che è originariamente espressione di una volontà di potenza, di un desiderio di dominio e di sfruttamento della natura, che è anche all'origine della metafisica. Infatti, secondo H., la metafisica si è sempre mossa (cfr. la sua analisi della causalità) sul piano del fare e non su quello dell'essere. Con la fine della metafisica può aprirsi un'epoca in cui l'uomo si rivolge all'essere con un pensare che non è più il pensare calcolante della scienza, ma un meditare, un pensare "rammemorante" che è aperto ai richiami, agli appelli dell'essere.

In alcuni dei saggi qui raccolti, H. svolge un'analisi abbastanza impietosa, ma tutto sommato appropriata, della scienza moderna, anticipando un atteggiamento che sarà proprio di due o tre decenni dopo di coscienza dei limiti epistemologici ed etici della scienza. La scienza non basta a se stessa: "La fisica in quanto fisica non può affermare nulla a proposito della fisica. Tutte le asserzioni della fisica parlano il linguaggio della fisica"(41). "Il sapere della scienza, che è obbligante nel suo ambito —cioè l'ambito degli oggetti— ha già annullato le cose molto prima che esplodesse la bomba atomica"(113). H. parla delle forme patologiche di organizzazione totale come forme di inganno per coprire un sostanziale vuoto esistenziale. Nel momento in cui il rapporto con la realtà viene visto sotto l'ottica dello sfruttamento, si apre la strada alle aberrazioni più gravi: "Al dirigismo letterario nel settore 'cultura' corrisponde, secondo una rigorosa consequenzialità logica, il dirigismo in materia di fecondazione"(62).

Dopo Nietzsche, che avrebbe smascherato la volontà di potenza —che è volontà di volontà, cioè volontà vuota— che sarebbe la caratteristica essenziale di ogni metafisica, l'epoca della metafisica si è conclusa. H. non dice se nella nuova epoca l'essere si manifesterà o se vi sarà un nuovo modo di "nascondimento". L'uomo, da parte sua, può solo porsi in atteggiamento di disponibilità e di ascolto.

Secondo H., le consuete categorie, e fra di esse il principio di causalità, valgono per gli enti, ma non per l'essere: l'essere può quindi essere colto solo in un pensare radicale, che non faccia ricorso alle categorie metafisiche. Questo pensare "rammemorante" non cerca dimostrazioni, ma cerca, nel linguaggio di un'epoca, le tracce dell'essere e del suo modo di rapportarsi all'uomo e —tramite l'uomo— al mondo. Questo pensiero deve quindi avvalersi delle ricerche filologiche ed ermeneutiche, ed è vicino alla poesia, anche se ne differenzia. L'essere non si rivela mai pienamente: mentre si dà si ritrae e rimane velato. La verità è dis-velamento (a—lètheia), è presenza dell'essere che mentre si dà (es gibt: lett. anche "c'è") nell'ente, si ritrae. L'essere si dà nella parola: il linguaggio è un modo privilegiato di manifestazione dell'essere. E' prima dell'uomo, perché gli è dato, ed è sopra l'uomo. Non è —propriamente— l'uomo, che parla, ma è il linguaggio che parla nell'uomo. Per questo bisogna "ascoltare", porsi in un atteggiamento di ricezione e di accoglimento, di accettazione del messaggio dell'essere, senza voler dominare, misurare, calcolare. Bisogna ascoltare, specialmente il linguaggio poetico.

ESPOSIZIONE ANALITICA

La questione della tecnica

L'essenza della tecnica non è qualcosa di tecnico. "La tecnica è un mezzo in vista di fini": è una frase esatta, ma non vera, cioè non coglie l'essenza della tecnica. Il vero si dà solo quando si svela l'essenza.

Dire mezzo è dire causa. Ciò che noi chiamiamo causa (H. usa la parola latina), per i greci è a>i'tion: ciò che è responsabile di qualcos'altro. "Le quattro cause sono i modi, tra loro connessi, dell'esser responsabile"(7). "I quattro modi dell'esser responsabile portano qualcosa all'apparire. Fanno sì che qualcosa si avanzi nella presenza.(...) Nel senso di questo lasciar avanzare, l'esser-responsabile è il far avvenire"(8).

Il far avanzare è pro-duzione: poi'hsis. Anche la fu'sis, il "sorgere-di-per-sé" è una pro-duzione. La pro-duzione conduce dal nascondimento alla disvelatezza: a>lh'qeia, veritas, Wahrheit (verità), comunemente intesa come esattezza della rappresentazione.

La tecnica è un modo del disvelamento. Te'cnh è anche il nome delle belle arti; è sempre qualcosa di poietico (pro-duzione). Il disvelamento della tecnica moderna, però non è un pro-durre, ma un pro-vocare, che pretende di estrarre energie dalla natura per accumulare. Ha il carattere del "richiedere". Ciò che ha luogo mediante il richiedere pro-vocante, e che viene impiegato, è nella posizione di Bestand (fondo) (patrimonio, riserva ultima). E' un modo di starci di fronte opposto a quello di Gegenstand (oggetto). L'uomo è pro-vocato in un modo più originario,—è pro-vocato all'impiego— e non diventa mai puro "fondo".

"Quell'appello pro-vocante che riunisce l'uomo nell'impiegare come "fondo" ciò che si disvela noi lo chiameremo il Ge-stell, l'im-posizione"(14) (dal verbo Stellen, porre, ma Gestell, letteralmente è anche "scaffale" e "intelaiatura"; il prefisso Ge, in tedesco indica la riunione, la costituzione di un nome collettivo). "Im-posizione si chiama il modo di disvelamento che vige nell'essenza della tecnica senza essere esso stesso qualcosa di tecnico"(15).

Le scienze esatte sono adoperate dalla tecnica e sono sorte a questo scopo, anche se apparentemente è avvenuto il contrario: "Resta vero, comunque, che l'uomo dell'età della tecnica è pro-vocato al disvelamento in un modo particolarmente rilevante. Tale disvelamento concerne anzitutto la natura come principale deposito di riserve di energia. Conformemente a ciò, il comportamento impiegante dell'uomo si manifesta anzitutto nell'apparire della moderna scienza esatta della natura. Il suo modo di rappresentazione cerca di afferrare la natura come un insieme organizzato di forze calcolabili. La fisica moderna non è sperimentale per il fatto che interroga la natura con la messa in opera di apparati tecnici; all'opposto: proprio perché la fisica, e ciò già come pura teoria, richiede alla natura di presentarsi (darstellen) come un insieme precalcolabile di forze, per questo è impiegato l'esperimento, per domandare se e come la natura, così richiesta, si dia (sich meldet)"(16). "E' perché l'essenza della tecnica risiede nell'im-posizione che essa deve adoperare le scienze esatte. Di qui si origina la falsa apparenza che la tecnica moderna sia scienza applicata" (17).

"L'im-posizione è la riunione di quel"porre" (Stellen) e che richiede (stellt) l'uomo di disvelare il reale come "fondo" nel modo dell'impiegare" (17-18).

"L'im-posizione è un invio del destino (Geschick: letter. il destino, ma vi gioca il collettivo Ge— e il verbo schieken, inviare, destinare; Schick è anche"dono". Geschick è quindi un inviare destinante, che è conveniente, ben adatto) come ogni modo di disvelamento (...). Sempre l'uomo è governato dal destino del disvelamento. Ma non si tratta mai della fatalità di una costrizione. Infatti, l'uomo diventa libero nella misura in cui, appunto, appartiene (gehört) all'ambito del destino e così diventa un ascoltante (ein Hörender), non però un servo (ein Höriger)" (18-19).

"L'essenza della libertà non è originariamente connessa alla volontà", ma è "l'accadere del disvelamento, ossia della verità, ciò con cui la libertà ha la parentela più stretta e più profonda" (19). "La libertà è il nascondimento illuminante-aprente (das lichtende Verbergende) nella cui apertura si dispiega quel velo che nasconde l'essere essenziale (das Wesende) di ogni verità, e che fa apparire il velo in quanto nascondente. La libertà è l'ambito del destino il quale di volta in volta traccia la via (auf ihren Weg bringt) a un modo del disvelamento (eine Entbergung)"(19).

La tecnica moderna non è un fatto, un qualcosa da accettare supinamente o da condannare come intrinsecamente cattivo: "(...) se ci apriamo autenticamente all'essenza della tecnica ci troviamo insperatamente richiamati da un appello liberatore"(19).

Il pericolo è interpretare erroneamente il disvelato. Cioè che la natura come concatenazione causale di forze sia vista in modo esatto, ma questa nasconda il vero. L 'uomo si crede il signore e gli sembra di trovare ovunque se stesso: in realtà ha perso la propria essenza. L'uomo invece esiste solo "nell'ambito di un appellare, e non può mai incontrare solo se stesso"(21).

Il secondo pericolo: "Il dominio dell'im-posizione minaccia fondando la possibilità che all'uomo possa essere negato di raccogliersi ritornando in un disvelamento più originario e di esperire così l'appello di una verità più principiale"(21).

"L'essenza della tecnica è in alto grado ambigua. Tale ambiguità richiama all'arcano (Geheimnis) di ogni disvelamento, cioè della verità. Da un lato l'im-posizione pro-voca a impegnarsi nel furioso movimento dell'impiegare, che impedisce ogni visione dell'evento del disvelare e in tal modo minaccia nel suo fondamento stesso il rapporto con l'essenza della verità"(25). D'altro lato, se si medita sull'essenza della tecnica, non fermandosi alle cose tecniche, il "concedere" che vi avviene porta l'uomo a guardare alla dignità della sua essenza e a tornarvi. L'essenza della tecnica dura, e "solo ciò che è concesso dura"(24).

"Ogni destino di un disvelamento accade a partire del concedere e in quanto concedere. Solo questo infatti porta all'uomo quell'aver parte al disvelamento che l'accadere del disvelamento adopera e salvaguarda (braucht). In quanto così adoperato e salvaguardato (Gebrauchte) l'uomo è traspropriato (Vereignet) all'evento (Ereignis) della verità. Ciò che concede, quello che invia nel disvelamento in questo o quel modo è come tale ciò che salva. Questo infatti fa sì che l'uomo guardi alla sua dignità suprema e vi ritorni. Questa dignità consiste nel custodire la disvelatezza e con essa sempre anzitutto l'esser-nascosto (Verborgenheit) di ogni essenza su questa terra. Proprio nell'im-posizione, che minaccia di travolgere l'uomo nell'attività dell'impiegare (in das Bestellen) spacciata come l'unico modo del disvelamento e che quindi spinge l'uomo nel pericolo di rinunciare alla propria libera essenza, proprio in questo pericolo estremo si manifesta l'intima, indistruttibile appartenenza dell'uomo a ciò che concede; tutto questo, a patto che da parte nostra cominciamo a prestare attenzione all'essenza della tecnica"(24-25).

Per gli antichi greci tecnica e arte erano accomunati: "Poiché l'essenza della tecnica non è nulla di tecnico, bisogna che la meditazione essenziale sulla tecnica e il confronto decisivo con essa avvengano in un ambito che da un lato è affine all'essenza della tecnica e, dall'altro, ne è tuttavia fondamentalmente distinto. Tale ambito è l'arte"(27).

Poche pagine prima, in un inciso, H. aveva esposto chiaramente il suo modo errato di intendere la causalità, o, per lo meno, la causalità di cui parlavano san Tommaso e altri filosofi medioevali, perché la causalità in Hume è un'altra cosa (cfr le pagine su questo tema di ETIENNE GILSON, Elementi di filosofia cristiana, Morcelliana , Brescia 1964, specialmente le pp. 94-99 e 268-294).

"Così, là dove tutto ciò che è presente si dà nella luce del nesso causa-effetto, persino Dio può perdere per la rappresentazione tutta la santità e la sublimità, la misteriosità della sua lontananza. Dio, nella luce della causalità può decadere al livello di una causa efficiens. Allora, anche nell'ambito della teologia, egli diviene il Dio dei filosofi, ossia di coloro che definiscono il disvelato e il nascosto sulla base della causalità del fare, senza mai prendere in considerazione l'origine essenziale di questa causalità"(20). Sulla parte di verità e sul tranello che nascondono queste parole ritorneremo in sede conclusiva.

Scienza e meditazione

"La scienza non è (...) semplicemente un'attività culturale dell'uomo: è un modo (...) decisivo in cui si presenta a noi tutto ciò che è"(28).

Per la scienza europea moderna vale la definizione: "La scienza è la teoria del reale"(29), che viene spiegata qui di seguito.

E' diversa dall'episteme greca e dalla doctrina medioevale, comunque resta fondata su Platone.

— Che cosa significa "il reale": "Das Wirkliche (il reale) riempie l'ambito dell'operante, di ciò che opera"(30). Operare è fare. Il termine operare (che viene dalla radice indogermanica dhe, che è all'origine sia di qe'sis, sia di fu'sis) indica un modo in cui la presenza si dispiega come presente"(31).

"Realtà significa (...) lo star-dinnanzi (Vorliegen) pro-dotto nella presenza"(31). Wirken, operare, ha la radice erg in comune con e'>rgon: ma non si tratta di un efficere, bensì di un "ergersi nel non nascondimento"(31). "Per questo, e per questo soltanto, Aristotele chiama la presenza di ciò che è presente (cioè la sostanza) e>nergeia o anche e>ntele'ceia: il mantenersi— nella-compiutezza" (31). Ma questo significato di durare-nell'—opera, che è conservato in Wirklichkeit è stato perso dai romani nel tradurlo con actus. Il reale diventa il conseguente (conseguito), cioè il risultato di un'operazione. "La conseguenza è apportata (ebracht) da qualcosa che la precede, la sua causa (Ursache). Il reale appare ora nella luce della causalità della causa efficiens. Dio stesso viene rappresentato —non nella fede, ma nella teologia— come causa prima. Come conclusione, al seguito della relazione causa-effetto si pone in primo piano la successione, e con essa lo scorrere del tempo"(31-32). Inteso in questo modo, come "conseguenza", il reale si mostra ora come il Gegen-Stand, l'og-getto (ob-ieotum), ciò che sta di fronte. La parola tedesca nasce nel XVIII secolo per tradurre obiectum. "Il tipo di presenza di questa cosa presente (...) noi lo chiameremo ora oggettità (Gegenstandigkeit)"(32).

—Che cosa significa "teoria". Viene da qewrei^n (qewri'a), che deriva da due radici: 1) qe'a: "è l'aspetto, l'apparire in cui qualcosa si mostra"(32). 2) o<ra'w: guardare qualcosa, osservare, considerare. Da qui risulta che qewrei^n è: "guardare l'aspetto sotto cui la cosa presente (das Anwesende) appare, e in virtù di questa vista sostare, vedendo, presso di essa"(33). Per i greci, la theoria, e la vita teoretica, è la forma perfetta dell'esistenza umana: fa risplendere la presenza degli dei.

Le due radici di "teoria" possono suonare in un'altra accezione: 1) qe'a è la dea. 2) w'>ra è riguardo, attenzione. Quindi teoria "è il guardare, custodendo, la verità"(33).

La traduzione latina contemplatio fa perdere il senso: indica il "separare qualcosa collocandolo in una sezione e racchiuderlo in essa"(34). E' un guardare che sezione e separa. In tedesco Betrachtung da trachten: trattare, elaborare (latino tractare). "In tal senso, la teoria come contemplazione sarebbe l'insidiante-assicurante operare nel reale"(35). Da una parte, la scienza consiste nel cogliere il reale in modo puro, è "teoretica" e "indipendente da scopi". E tuttavia essa "è un operare straordinariamente attivo sul reale. (...) Nell'epoca moderna (...) la cosa presente prende posizione collocandosi nell'oggettità. (...) La scienza forma il reale (...) e lo interpella in modo che il reale di volta in volta si presenti come effettuato (Gewirk), cioè nella concatenazione constatabile di cause date. Il reale diventa così perseguibile e calcolabile"(35).

Ne consegue che il metodo ha un'importanza decisiva, perché la scienza moderna ha un procedere catturante-assicurante. Calcolare, in senso ampio, è tener conto di una cosa, aspettarsela: quindi, "ogni oggettivazione del reale è un calcolare" (36). La scienza moderna deve quindi delimitare i vari campi di oggetti, secondo il loro modo di essere.

La fisica, per esempio, considera la natura nella misura in cui essa si prospetta come inanimata. "La natura, nella sua oggettitá per la scienza moderna, è solo uno dei modi in cui ciò che è presente e che da sempre viene chiamato fu'sis, si manifesta e si offre all'elaborazione scientifica(...) [Quindi] la rappresentazione scientifica non può mai racchiudere l'essenza della natura (...). La natura rimane così, per la scienza fisica, l'inaggirabile (das Unungängliche)"(39). Inaggirabile perché: a) la teoria dipende sempre da ciò che è presente; b) la scienza non abbraccia mai la pienezza della natura, a causa dell'oggettità.

Lo stesso avviene per altre scienze. "L'e-sistere (Da-sein) (...) rimane l'inaggirabile della psichiatria"(40). La storiografia (Historie, storia nel senso di scienza storica) è l'esplorazione dei fatti della storia (Geschichte, storia come avvenimenti): la storia (Geschichte) è l'inaggirabile. Nella filologia il linguaggio è l'inaggirabile.

"L'inaggirabile domina nell'essenza della scienza"(41). Le scienze non possono mai rappresentare la propria essenza. Per esempio, "la fisica in quanto fisica non può affermare nulla a proposito della fisica. Tutte le asserzioni della fisica parlano il linguaggio della fisica"(41).

"Lo stato di cose che domina l'essenza della scienza (...) è l'inaccessibile inaggirabile che passa costantemente inosservato"(42). H. vuole richiamarvi l'attenzione per indirizzare sulla via di "ciò che è degno di esser domandato"(das Fragwürdige: lett. anche "il problematico"). Camminare in questa direzione è un ritorno in patria. La meditazione è il tranquillo abbandono a ciò che è degno di esser domandato"(43). E' diversa dalla coscienza, dal sapere della scienza, dalla cultura. Il luogo del nostro soggiorno è qualcosa di storico, che ci è assegnato (zugewiesen). Finisce l'epoca della cultura, intesa come Bildung, e inizia quella della meditazione essenziale, in risposta all'appello del Fragwürdige.

"Occorre meditazione, ma non per superare un accidentale stato di perplessità o per vincere la resistenza che si oppone al pensiero. Occorre meditazione, come una risposta che si dimentica di se stessa nella chiarita di un incessante domandare rivolto all'inesauribilità di ciò che è degno di essere domandato, e in forza di cui il rispondere, nel momento appropriato, perde il carattere del domandare e diviene un semplice dire"(44).

Osservazioni: è per lo meno discutibile quanto H. dice sui termini latini e actus e contemplatio. Soprattutto per quanto riguarda actus sarebbe necessario riferirsi a un'analisi del lessico di almeno qualcuno fra i grandi metafisici medioevali. Non sembra, per esempio, che in Tommaso d'Aquino —che H. conosce molto male—, actus abbia il senso di "risultato di un'azione" che H. gli assegna.

—La distinzione fra il Dio della fede e il Dio della teologia (se per teologia intendiamo la teologia cristiana) è assolutamente arbitraria, e deriva da premesse heideggeriane su cui ci fermeremo brevemente in sede conclusiva.

—E' vero che la filosofia classica ha definito la verità come adaequatio, ma lo ha fatto —ancora una volta ci riferiamo a san Tomaso— sulla scorta di un riconoscimento del carattere di verum proprio di ogni ente. E' l'essere che fonda la verità del giudizio, perché nel giudizio vero è colto che è ciò che è. L'essere come "verità ontologica" permette all'intelligenza di formulare un giudizio vero. In questo san Tommaso è molto attento a fare tutte le varie distinzioni che sono necessarie a non escludere nessun aspetto della verità: cfr Quaestiones disputatae de veritate, I, 1, e anche il commento che ne fa Josef Pieper in Verità delle cose, Massimo, Milano 198. Invece H., non sembra andare al di là dell'affermazione della verità come dis-velamento, senza approfondire i rapporti fra l'intelligenza e l'essere, e senza motivare la possibilità di un errore nell'intelligenza.

Oltrepassamento della metafisica

E' un saggio di circa venti pagine, suddiviso in XXVIII paragrafi, contraddistinti da numeri romani. Citeremo il paragrafo.

La metafisica è trapassata, e ritorna sotto forma diversa. E' il punto estremo dell'oblio dell'essere. L'uomo come animal rationale, è diventato animale da lavoro, volontà di volontà, cioè volontà de nulla. "Prima che l'essere possa accadere nella sua verità principiale bisogna che l'essere sia infranto come volontà, che la terra sia ridotta alla devastazione(...)"(III). Il tramonto è accaduto, e sta iniziando l'era nuova.

"Ma le'gein, posare, nel suo 'lasciar-stare-insieme— dinnanzi' (beisammen-vor-liegenlassen) significa proprio che ciò che sta dinnanzi ci importa (anliegt) e per questo ci concerne (angeht)" (144).

"Dire è le'gein. Questa affermazione, se viene considerata con attenzione, ha perso ora tutto ciò che poteva avere di banale, di consunto, di vuoto. Essa nomina il segreto impensabile del fatto che il parlare del linguaggio accade a partire dalla disvelatezza di ciò che è presente e si determina, conformemente allo star-dinnanzi delle cose presenti, come "lasciar-stare-insieme-dinnanzi". (...) Dire è raccolto-raccogliente lasciar-stare-insieme-dinnanzi. Se le cose stanno così per quanto riguarda l'essenza del parlare, che cosa sarà l'udire? In quanto le'gein, il parlare non si determina in base al suono inteso come l'espressione di un senso. Se quindi il dire non viene definito in base all'emissione di suoni, anche l'udire che gli corrisponde non potrà primariamente consistere nel fatto di captare un'onda sonora che colpisce l'orecchio ritrasmettendo ad altri organi i suoni che agiscono sul nostro udito. Se il nostro udire fosse primariamente e sempre questo captare e ritrasmettere suoni, a cui in seguito verrebbero ad associarsi altri processi, allora sarebbe vero che un suono ci entra da un orecchio e ci esce dall'altro. E' ciò che di fatto accade quando non siamo raccolti in ciò che ci viene detto. Quel che ci vien detto, però, è esso stesso ciò-che-sta-dinanzi, raccolto e presentato a noi (das gesammelt vorgelegte Vorliegende). L'udire è propriamente questo raccogliersi, che si raccoglie sulla parola che ci è annunciata e rivolta. L'udire è primariamente il raccolto ascoltare. E' nella capacità di ascoltare che si dispiega l'essenza (west) dell'udire" (145-146).

Per udire autenticamente non basta ascoltare il suono di una parola come espressione di un parlante: "Abbiamo udito (gehört), quando apparteniamo (gehören) a ciò che ci viene detto. Il parlare della parola che ci viene rivolta è le'gein, lasciar-stare-insieme-dinnanzi. Appartenere alla parola che ci è detta non vuol dire altro che questo: ogni volta lasciar stare insieme dinnanzi nel suo complesso (Gesamt) ciò che un lasciar-stare-dinnanzi ci presenta. Un tale "lasciar stare" posa (legt) ciò che sta dinnanzi come uno stante dinnanzi. Lo posa come esso stesso. Esso posa un qualcosa (Eines) e lo stesso in uno (in Eins). Pone un qualcosa come lo stesso. Questo le'gein posa uno e lo stesso (legt ein und das selbe), l' o<mo'n. Tale le'gein è o<mologein~: lasciar-stare-dinnanzi un qualcosa come stesso, raccolto nella medesimezza (im Selben) del suo star-dinnanzi" (147).

A conclusione delle sue analisi, H. propone una traduzione esplicitata del frammento di Eraclito:

"Non me, il parlante mortale, ascoltate; ma siate attenti al posare raccogliente; se ad esso anzitutto apparterrete, in tal modo potrete anche veramente udirlo; un tale udire è nella misura in cui accade un lasciar-stare-insieme-dinnanzi, a cui sta dinnanzi (vorliegt) l'insieme (das Gesamt), il riunente lasciar-stare, il posare raccogliente; quando si dà (geschieht) un lasciar-stare da parte del lasciar-stare-dinnanzi, accade (ereignet sich) qualcosa di ben-disposto (Geschicklieches); poiché l'autentico ben-disposto, il destino (Geschick) solo, è l'unico-uno che tutto unifica" (154).

Questa traduzione potrebbe forse lasciare perplessi, ma H. dice che anche Eraclito aveva lasciato perplessi i suoi contemporanei utilizzando parole familiari come logos nel contesto di un simile dire. " <o Lo'goV denomina quello in cui accade la presenza di ciò che è presente. La presenza di ciò che è presente si chiama, per i greci, to` e>o`n, cioè to` ein~>ai twn~ o>'ntwn; per i romani: esse entium; noi diciamo: l'essere dell'essente (das Sein des Seienden). Dall'inizio del pensiero occidentale, l'essere dell'essente si dispiega come l'unica cosa degna di essere pensata. Se pensiamo storicamente (geschichtlich) questa constatazione storiografica (historisch), arriviamo a scoprire dove riposa l'inizio del pensiero occidentale: il fatto che nell'epoca della grecità l'essere dell'essente diventa degno di essere pensato, questo fatto è l'inizio dell'Occidente, è la sorgente nascosta del suo destino. Se questo inizio non preservasse ciò-che-è-stato (das Gewesene), cioè la riunione (die Versammlung) di quello che ancora dura (des noch Währenden), l'essere dell'essente non vigerebbe ora a partire dall'essenza della tecnica moderna. In virtù di tale essenza oggi la terra intera viene trasformata e conformata sulla base dell'essere esperito alla maniera occidentale, rappresentato nella forma di verità propria della metafisica e della scienza europee" (155).

Questo balenare dell'essere come Logos, posare raccogliente viene ben presto perso. Logos è anche l'essenza del linguaggio, del Dire originario (Sage). "Il linguaggio sarebbe Dire originario. Linguaggio sarebbe: riunente lasciar-stare-dinnanzi ciò che è presente nella sua presenza" (156). I greci, che "abitavano" in questo modo di essere del linguaggio, non l'hanno mai pensato; neanche Eraclito ha pensato l'essenza del linguaggio come essenza dell'essere. Invece è proprio a partire dai greci che il linguaggio viene pensato in riferimento all'emissione dei suoni, come fwnh', e come glws~sa, lingua. Il pensare il linguaggio come espressione è giusto, ma è limitato, perché si ferma all'esterno. Il Lo'goV di Eraclito è stato un lampo che si è perso.

Per poter vedere questo lampo bisogna collocarsi nell' "uragano dell'essere" (157), mentre invece se ne ha paura.

La riflessione sull'essenza del linguaggio svolge un ruolo molto importante, specialmente nell'ultimo H., come nell'ultima parte di quest'opera. L'essere si dà nel linguaggio, e una meditazione sull'essenza del linguaggio è in grado di farci volgere all'essere. Nelle ultime parti del volume cominciano ainvedersi temi che verranno sviluppati in opere successive: In cammino verso il linguaggio (Unterwegs zur sprache) e Tempo ed essere (Zur Sache des Denkes, da non confondere con Essere e tempo, Sein und Zeit). E' come una risalita che H. cerca di compiere verso regioni sempre più primitive: dall'essere alla Lichtung, lo slargo illuminante-aprente che permette il darsi dello svelamento che permette il darsi del Logos, il Dire originario, e dalla Lichtung all'Ereignis, l'evento appropriante espropriante che H. dirà anteriore all'essere e più ricco di questo.

Comunque, in queste brevi osservazioni critiche è interessante notare l'assenza della dimensione di una vera libertà dell'uomo, che si trova a subire il destino-invio (Geschick) dell'essere nelle varie epoche storiche da parte dell'Ereignis. L'uomo non può che cogliere nel linguaggio dei filosofi e dei poeti le tracce dell'essere che gli sono concesse. Non è l'uomo che parla, ma è il linguaggio che parla nell'uomo. Non è questo il luogo per soffermarsi su una discussione critica di queste tesi di H. la cui infondatezza (proprio come mancanza di un fondamento razionale che le giustifichi), checché ne dica lo stesso H., apparra abbastanza evidente. E' invece possibile individuare l'origine nel pensiero di H. di queste tesi, e rimandiamo ai testi già citati. Del resto un'esperienza della libertà, e anche un'esperienza di un —sia pur limitato— dominio sul linguaggio, è propria di tutti. Il nostro intelletto vive in un orizzonte sovra-linguistico che è in grado di giudicare l'appropriatezza di una parola a descrivere un concetto, di creare parole nuove, di riconoscere l'equivalente di una parola in una lingua diversa...

Quanto all'Ereignis....................................