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gpdimonderosePosted: 3/5/2013, 14:55

.........................distruzione (Destruktion) fenomenologica della storia dell’ontologia e
4 Gadamer 1983, p. 24; pp. 138-149.
5 Volpi 1984, p.15; 1985, p. 74; 1988, p. 219; 1990 p. 4;
6 “Di continuo ci si scandalizza per le forzature che si ravvisano nelle mie interpretazioni [...] si
può dire che gli storici della filosofia hanno ragione quando rivolgono quest’accusa contro quelli
che vorrebbero promuovere un dialogo di pensiero tra i pensatori. A differenza della filologia
storica, che ha il proprio compito, un dialogo di pensiero è soggetto ad altre leggi che sono più
vulnerabili. Nel dialogo è più alto il rischio dell’errore, e sono più frequenti le mancanze”.
Heidegger 1929, p. 7.
7 A tal proposito, Berti 1992, pp. 44-111.
8 Volpi 1985, p. 74.
9 Volpi 1988, p. 219.
3
nel secondo capitolo a quello di passo indietro (Schritt zurück) appartenenti
rispettivamente allo Heidegger prima e dopo la cosiddetta Svolta degli anni ’30.
Si riporta di seguito il contenuto dei singoli capitoli.
1) Il primo capitolo a carattere introduttivo rintraccia sommariamente la genesi
del concetto di distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia cercando di
ricondurlo alla ricerca dell’essere annunciata in Essere e Tempo. Il termine
distruzione non va inteso nell’accezione negativa che solitamente l’accompagna e
sarà invece inteso nel senso di una de-costruzione10 e di una fondazione radicale
dei concetti fondamentali della tradizione che ha di mira la riproposizione della
questione dell’essere e la sua connessione con il tempo. La ricostruzione del
contesto della ricerca intrapresa da Essere e Tempo11 e la riconduzione in essa del
concetto heideggeriano di distruzione fenomenologica sarà svolto attraverso le
proposte interpretative di Franco Volpi, Adriano Fabris, Costantino Esposito,
David Wood. Sarà data particolare attenzione al “debito metodologico” che
l’approccio heideggeriano alla storia della filosofia ha contratto nei confonti della
fenomenologia husserliana, così come risulta dall’articolo di Volpi “L’approccio
fenomenologico alla storia della filosofia del primo Heidegger”.
2) Con l’espressione passo indietro (da considerare insieme alla coppia
superamento-oltrepassamento) si fa riferimento alla disposizione metodologica
con la quale Heidegger affronta il tema della “tradizione” dopo Essere e Tempo. Il
termine passo indietro designa il tentativo di Heidegger di prendere commiato
dalla tradizione non scorgendo più dopo la svolta degli anni ‘30 la possibilità di
una riformulazione radicale dell’ontologia. Il passo indietro verrà messo da
Heidegger a confronto, nella Costituzione onto-teo-logica della metafisica12, col
concetto hegeliano di Aufhebung al fine di tracciare una serie di distinzioni tra il
suo approccio alla storia della filosofia e quello di Hegel. La trattazione di questo
tema si è avvalso dei testi di Gianni Vattimo, Umberto Galimberti, Hans-Georg
Gadamer, Enrico Berti.
10 Tale è il senso che Volpi attribuisce al termine Destruktion nel suo Glossario (2005, p. 351),
riferendosi all’utilizzo del termine Abbauen (decostruzione appunto).
11 Heidegger 1927.
12 Heidegger 1957, pp. 17-35.
4
Cap. 1
La distruzione della storia dell’ontologia.
1.1
Lo scopo13 di questa prima parte del lavoro è la trattazione del concetto di
distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia così come è annunciata nel
§ 6 di Essere e Tempo. Seguendo il suggerimento di Gadamer per comprendere le
operazioni heideggeriane sulla tradizione è necessario studiarle nel particolare
contesto di cui fanno parte. Seguirà in questi primi paragrafi (1.1.1-1.1.4) una
breve ricostruzione delle problematiche che animano Essere e Tempo al fine di
poter cogliere in quelli successivi (1.2.1-1.2.4.) i nessi tra queste e l’esigenza di
attuare una distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia.
1.1.1
Come si sa, è perfino banale dirlo, Essere e Tempo è un’opera incompiuta. Se si
apre il testo all’altezza del § 8 dove è tracciato il piano dell’opera, si vede che la
trattazione del tema indicato dal titolo – il legame tra essere e tempo ossia la
determinazione della costitutiva temporalità di ciò che è chiamato essere –
avrebbe dovuto prevedere due parti, ciascuna delle quali divise in tre sezioni. La
prima parte, indica il compito di analizzare l’esserci (l’uomo), nei modi di essere
che gli sono propri: anzitutto [1.1] in maniera preparatoria, poi [1.2] nel suo
13 Per la stesura del Capitolo 1 ci si è avvalsi delle ricostruzioni di A. Fabris 2005; C. Esposito
1997; G. Vattimo 1971; F. Volpi 1988; 1997.
5
costitutivo carattere temporale, infine [1.3] è programmata un’ indagine
dell’essere specifica su tempo e essere pensata come un’indagine sulla temporalità
dell’essere in quanto tale. Per la seconda parte invece, si annuncia l’intenzione di
alcuni approfondimenti sulla storia del pensiero prendendo di mira il modo in cui
la storia della filosofia si è confrontata con la nozione di essere e della sua
connessione al tempo. Quest’ ultima parte è stata anche indicata da Heidegger
sotto il titolo di distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia, ma di ciò
si tratterà in seguito. Per questa seconda parte il progetto dell’opera avrebbe
previsto un confronto con [2.1] la dottrina dello schematismo trascendentale
elaborata da Kant nella Critica della ragion pura, [2.2] una discussione sul
fondamento ontologico del cogito cartesiano e in ultimo, [2.3] un’analisi della
trattazione del tempo proposta da Aristotele nel IV libro della Fisica, come
esempio fondamentale della concezione del tempo propria degli antichi. La
trattazione di Essere e Tempo si arresta alla seconda sezione della prima parte e,
non a caso, il testo si chiude con una serie di domande che rimandano ad ulteriori
trattazioni.
Con la chiusura di Essere e Tempo il problema dell’essere non è stato neanche
posto. Essere e Tempo si presenta così come un’opera aperta a successive
trattazioni integrative o di sviluppo di questioni che Heidegger si è solo limitato
ad accennare. La prospettiva di incompiutezza – e perciò di apertura – di Essere e
Tempo è quindi uno di quei tratti costitutivi che durante la lettura non deve essere
perso d’occhio. Secondo la ricostruzione di Fabris, per comprendere le questioni
poste in Essere e Tempo è necessario fare riferimento a una serie di documenti
heideggeriani redatti prima e durante il suo stesso periodo di elaborazione; con ciò
si fa riferimento principalmente ai testi di alcuni corsi universitari, ad alcune
conferenze e a materiali per l’attività didattica disponibili nella seconda edizione
delle opere complete – Gesamtausgabe – iniziata nel 197514.
14 Tale edizione, secondo Fabris, ha il merito di mostrare come il pensiero di Heidegger si
configuri come un vero e proprio “itinerario” le cui tappe non sono da considerarsi separatamente:
“Quello di Heidegger è, in altre parole un autentico Denkweg, una via sulla quale il suo pensiero si
pone in cammino e dalla quale si dipartono, volendo usare alcune metafore care ad Heidegger,
ulteriori ‘sentieri’ (a volte percorribili e a volte interrotti), rispetto ai quali la riflessione filosofica
ha la funzione di porre dei segnavia: al punto che gli stessi testi heideggeriani debbono essere in
definitiva concepiti – secondo un motto apposto dallo stesso Heidegger, pochi giorni prima di
morire, sul frontespizio della Gesamtausgabe – come ‘Vie non opere’ ”.
6
In particolare i corsi universitari tenuti da Heidegger nel primo periodo
friburghese (1919-23) insieme a quelli di Marburgo (1923-28) sono importanti per
comprendere genesi e struttura di Essere e Tempo.
Infatti in essi si trovano tre motivi predominanti che intrecciandosi e
sovrapponendosi troveranno in Essere e Tempo una elaborazione tutta
particolare. Il primo “motivo”, quello trascendentale, riguarda il confronto di
Heidegger con il neokantismo da una parte e con la fenomenologia15 di Husserl
dall’altra e si svolgerà seguendo il progetto di una loro riformulazione per scopi
diversi da quelli che avevano animato i loro fondatori. Il secondo “motivo”,
ermeneutico, riguarda l’attenzione per certi aspetti della vita cristiana e per alcuni
documenti in cui essa trovava espressione. Infine il terzo “motivo”, ontologico, ha
come scopo una vera e propria resa dei conti con la tradizione ontologica
attraverso una riproposizione del problema dell’essere in una nuova prospettiva
che mirerà a cogliere l’essere come intrinsecamente temporale e riterrà, per
giungere a tale scopo, di dover partire dall’analisi di un ente privilegiato, l’esserci,
ovvero l’ente che noi stessi siamo.
1.1.2.
Essere e Tempo è un’opera che a una prima lettura può suscitare un certo
“imbarazzo”: nonostante si sottolinei di frequente l’importanza di una ripetizione
della domanda dell’essere e della sua connessione con il tempo la trattazione di
questo tema è assente. Secondo la ricostruzione di Fabris16, quello dell’essere non
era del resto l’interesse primario di Heidegger all’interno della sua riflessione che
si muoveva intorno alla temperie culturale del primo Novecento e degli indirizzi
filosofici predominanti. Innanzitutto la ripresa di alcuni motivi desunti dalla
filosofia trascendentale di Kant, il cosiddetto ‘neokantismo’ (o ‘neocriticismo’),
nella sua versione della scuola di Marburgo e in quella della scuola del Baden e in
parallelo – insieme all’emergere di alcuni motivi desunti dalla diffusione delle
15 Il discorso sul legame tra Heidegger e la fenomenologia, qui solo accennato, sarà sviluppato più
approfonditamente in 1.2 (a proposito del commento al § 6 di Essere e Tempo) attraverso le analisi
di Volpi 1988.
16 Fabris 2005, p. 17.
7
concezioni di Kierkegaard, Nietzsche e Dostoevskij – gli sviluppi, nell’ambito
della fenomenologia, di Husserl, la cui prospettiva è aperta nel 1900-1901, nei due
volumi delle Ricerche logiche.
Un elemento comune di queste diverse tendenze filosofiche è il netto di rifiuto
dell’approccio dello “psicologismo”, il quale sostiene la possibilità di riportare le
leggi logiche al funzionamento della psiche umana. In risposta a tale approccio,
Heinrich Rickert, rappresentante del neokantismo del Baden, elabora una dottrina
pura dei valori e identifica in una filosofia dei valori il fondamento delle scienze
positive; Husserl, da parte sua, propone di sviluppare una dottrina
dell’intenzionalità in grado di cogliere le leggi pure, irriducibili alla modalità
psicologica del loro attingimento, che sono alla base di ogni pensare. La cosa che
va notata subito è che Heidegger si inserisce in questo discorso proponendo una
posizione sin dall’inizio originale. Al progetto di una logica pura elaborata da
Husserl, Heidegger contrappone il progetto di una logica calata e radicata
nell’ambito della vita effettiva: una logica “impura”, che a partire dalla vita ha
intenzione di cogliere, nella vita appunto, la vita stessa. Scegliendo come suo un
orizzonte pre-teoretico, viene meno la distinzione che contrappone soggetto e
oggetto e si supera così il presupposto sia dell’indagine kantiana che di quella
neokantiana. La vita andrà a configurarsi come quel fenomeno privilegiato che
richiede lo sviluppo non tanto di una scienza originaria, ma piuttosto di una
scienza dell’origine17. Tale scienza sarà identificata con la fenomenologia, anche
se opportunamente reinterpretata.
2.2
Riprendendo i gadameriani Sentieri di Heidegger77, il confronto di Heidegger con
la tradizione rientra in un modo “tipico” di fare filosofia in Germania dopo
Schleiermaicher e Hegel. La dimensione in cui si svolge il confronto con la
tradizione non è – come è facile da prevedere – quella della storiografia.
Hegel, altro filosofo a cui sta particolarmente a cuore il confronto con la
tradizione, faceva della filosofia il centro di sviluppo del progredire storico in
quanto tale. La pretesa di ordinare logicamente la serie delle concettualizzazioni
filosofiche dimostrando la presenza della Ragione nella storia – secondo Gadamer
– non ha resistito a lungo alla critica della scuola storica. Gadamer cita Dilthey
per fare un esempio e quella che il neokantismo ha definito come la “storia dei
problemi”, e individua in quest’ultima uno dei luoghi principali da cui il filosofare
heideggeriano ha preso le mosse. Quando Heidegger ha cominciato il suo
percorso filosofico la critica della storia dei problemi era nell’aria. Al tempo della
prima guerra mondiale e in seguito con la dissoluzione del quadro filosofico
trascendentale, doveva cadere anche la storia dei problemi. La stessa ricerca di
Essere e Tempo78, secondo Gadamer riflette il desiderio del filosofo di cercare una
sintesi tra la problematica diltheyana della storicità e la problematica scientifica
che era alla base dell’orientamento di Husserl. Ne sono prova la dedica a Husserl
e l’omaggio a Dilthey che compaiono nel testo. Sul motivo dominante di questo
confronto con la storia nei primi anni ‘20, secondo Gadamer, ci sarebbe il
tentativo da parte di Heidegger di recuperare una visione adeguata della fede
cristiana, e dei sui messaggi originari offuscati dall’ incontro con la filosofia greca
e la sua ritraduzione nella tradizione metafisica di stampo scolastico79.
Riassumendo brevemente i passi percorsi fino a qui si è stabilito che a partire
dall’analitica dell’esserci, la dimensione in cui si muove il sapere storiografico
non risulta essere sufficientemente originaria ed è solo per mezzo di una
77 Si riprende il saggio di Gadamer 1983, pp. 138-149.
78 Heidegger 1927.
79 L’interpretazione del motivo religioso come “motivo segreto” del filosofare heideggeriano è
condiviso da Löwith 1953, p. 156. “Ma, fondamento sotterraneo di tutto ciò che Heidegger da
sempre è venuto enunciando, voce che desta e si fa ascoltare intensamente da molti, è un motivo
non mai enunciato: il motivo religioso, separato dal contesto della fede cristiana, ma proprio per
questa sua indeterminazione rispetto ai legami di qualsiasi formulazione in dogmi tanto più
consono al sentire di coloro che non sono più cristiani credenti ma pure vorrebbero essere
religiosi”.
33
chiarificazione della dimensione primaria della storicità dell’esserci rispetto a
qualsiasi sapere storiografico che a quest’ultimo sarà garantito un fondamento
sicuro. Come s’è detto a proposito di Kant, gli autori si comprendono per mezzo
di un’idea guida che illumina il percorso di lettura e ciò che in essi è preso di mira
non pertiene propriamente alla dimensione del detto che risulta essere importante
solo prima facie: la questione fondamentale nel confronto con gli autori è la
chiarificazione di ciò che nel detto risulta taciuto, solo indicato. La dimensione in
cui si deve leggere il confronto è propriamente quella speculativa ed è a partire da
quest’approccio con la tradizione che i nomi di Hegel e Heidegger si richiamano
spesso l’un l’altro seppure con la necessità di una serie di “distinguo” che si
proverà ad accennare.
Ne I sentieri di Heidegger Gadamer riferisce che Hegel chiamava la storia della
filosofia il cuore della storia universale. La pretesa fondamentale della storia
della filosofia hegeliana, la sua idea guida (o ipotesi ermeneutica), era di
dimostrare nelle costruzioni filosofiche anteriori la presenza della Ragione, e il
loro necessario sboccare nella stessa filosofia hegeliana come loro sintesi
definitiva. In Heidegger l’idea guida è rappresentata dall’oblio dell’essere e il
confronto con la tradizione, lungi dal prefigurarne un processo ascendente, è
dettato da un desiderio di rinnovamento e di “ripetizione” del problema
dell’essere.
Riguardo al rapporto tra Heidegger e Hegel, si intende ora fare riferimento a un
testo tratto da un’ esercitazione seminariale del 1957 e pubblicato in Identità e
differenza80 sotto il titolo di Costituzione onto-teo-logica della metafisica. In esso
Heidegger illumina una serie di differenze tra la sua impostazione e quella di
Hegel nel confronto con la tradizione ed è possibile rintracciare la persistenza di
una serie di motivi a cui si è già accennato, nonostante i diversi mutamenti a cui è
andata soggetta la filosofia heideggeriana nell’arco di tempo che va dal 1929 al
1957.
Il testo si apre “sondando la possibilità di stabilire un colloquio con Hegel”81. Un
colloquio con un pensatore può riguardare solo “la questione (Sache) del
pensiero”82, la quale però non è da intendersi come se ci fosse una questione che
80 Heidegger 1957.
81 Heidegger 1957, p. 17.
82 Heidegger 1957, p. 17.
34
abbia per oggetto il pensiero. Con l’espressione questione del pensiero, Heidegger
intende una questione che porta il pensiero ad appropriarsi di sé fino in fondo.
Heidegger sostiene di condividere con Hegel la questione del pensiero, che è per
entrambi l’essere e non solo: per entrambi la questione del pensiero è in se stessa
storica (non storiografica). “Per Hegel – scrive Heidegger – la questione del
pensiero è storica nel senso di un accadere processuale che si dispiega per mezzo
della dialettica dell’essere”83. L’essere in quanto pensiero passa attraverso una
serie di tappe che corrispondono ad una serie di configurazioni dello Spirito,
ognuna di queste è caratterizzata da un differente grado di sviluppo. La questione
del pensiero è l’essere in quanto pensiero che si sviluppa, e lo stesso svolgimento
del pensiero è rappresentato nella storia della filosofia. L’atteggiamento di Hegel
con la storia della filosofia, come si è visto per Heidegger, non segue dettami della
storiografia, ma s’inscrive all’interno della sua tensione speculativa84. Sin qui
sono stati tracciati i punti condivisi dall’impostazione di Heidegger e quella di
Hegel: quale sia la questione del pensiero – l’essere – e quale sia il modo
attraverso cui questa questione è posta, il confronto con la storia della filosofia.
Non bisogna farsi trarre in inganno dalle “somiglianze” che sono enunciate
all’inizio e schiacciare la posizione heideggeriana su quella hegeliana: è proprio
Heidegger a mettere in guardia il lettore su questo punto quando sottolinea che lo
stesso (das Selbe) non è l’uguale (das Gleiche), nell’uguale scompare la diversità
che invece si manifesta nello “stesso”85 ed è a queste differenze che bisogna
prestare attenzione.
Per Hegel la misura per il colloquio con la storia della filosofia è: accedere all’energia e all’ambito
di ciò che i pensatori che precedono hanno pensato[…]. La forza di volta in volta in volta propria
dei pensatori Hegel la trova in quello che essi hanno pensato, nella misura in cui ciò che hanno
pensato può essere elevato, come un certo grado di sviluppo che è stato di volta in volta raggiunto,
al pensiero assoluto. Questo pensiero è assoluto solo in quanto si muove nel suo processo
dialettico-speculativo e per farlo esige la gradualità.
Per noi la misura del colloquio con la tradizione storica è la stessa, trattandosi di accedere
all’energia del pensiero che ci ha preceduti. Solo che noi cerchiamo quell’energia non in ciò che è
già stato pensato ma in qualcosa di impensato, a partire da cui il pensato riceve il suo spazio
83 Heidegger 1957, p. 19.
84 Vedi in proposito Gadamer 1983, p. 138.
85 La parola “stesso” distinta da “uguale”, indica non la semplice coincidenza di due termini che
dissolve le differenze, quanto piuttosto la comunanza di un “ambito” di provenienza che lascia
ancora spazio alla differenza. A questo proposito cfr. Heidegger 1957, p. 7, in cui Heidegger
traduce l’espressione greca to auto/ nell’espressione tedesca Zusammengehören.
35
essenziale. Ma solo il già-pensato prepara l’ancora-impensato.[…] La misura fornita
dall’impensato non conduce all’inserimento del già-pensato in uno sviluppo ed in una sistematica
sempre più elevati e tali che lo superano, ma esige che il pensiero tramandatoci sia messo in libertà
nel suo già-stato (Gewesenes) tenuto ancora in serbo. [...]Per Hegel il colloquio con la storia della
filosofia ha il carattere del superamento (Aufhebung), ossia del comprendere mediatore nel senso
della fondazione assoluta.
Per noi il carattere del colloquio non è più il superamento , ma il passo indietro (Schritt züruck).
Il superamento conduce in un ambito in cui ciò che è superato viene raccolto più in alto […]
Il passo indietro indica nella direzione dell’ambito, trascurato fino ad oggi, a partire da cui
l’essenza della verità diventa, più di ogni altra cosa, degna di essere pensata.86
Scopo di Hegel è la fondazione del sapere assoluto, per cui il colloquio con la
storia della filosofia gli occorre per sancire e legittimare, come storicamente
necessaria, la posizione della filosofia dello Spirito. I pensatori vengono
interpretati in base a ciò che, nel loro pensiero, può essere preso, immesso nel
processo di sviluppo dello Spirito ed elevato a un certo grado di sviluppo di
quest’ultimo. Riprendendo quanto si è detto sopra87 riguardo la necessità della
presenza di una idea guida che illumini il confronto con la tradizione, si può allora
sostenere che la cifra di questo “colloquio tra Hegel e la tradizione è data dal
concetto di superamento (Aufhebung) il quale – spiega Gianni Vattimo – conserva
e insieme supera nella filosofia assoluta ciò che di vero ha detto il pensiero
passato”88.
Il progetto di Heidegger, pur condividendo con Hegel il proposito di inserire la
storia in un orizzonte di senso che ne renda intelligibile il divenire, non ne
condivide il fine: non si tratta di costruire una storia progressiva del pensiero che
veda al suo interno un succedersi graduale e necessario: per Heidegger si tratta
piuttosto di illuminare il contesto in ombra a partire da cui il pensato si origina, si
tratta ancora una volta di attraversare il detto per giungere in qualche modo alle
sue spalle. Come ricostruisce Vattimo “al metodo hegeliano della Aufhebung,
Heidegger contrappone lo Schritt zurück, il passo indietro”89. Questo metodo non
intende essere un mero rovesciamento di direzione del concetto hegeliano di
storia; se così fosse Heidegger resterebbe inevitabilmente legato al filosofare
hegeliano, sancendone di fatto la sua insuperabilità. Non si tratta infatti di
86 Heidegger 1957, pp. 21-22.
87 Cfr. Supra, § 1.4.
88 Vattimo 1971, p. 95.
89 Vattimo 1971, p. 95.
36
compiere un passo indietro nel senso di risalire alle origini storico-storiografiche
del pensiero come se ciò che è prima possedesse maggiore vicinanza all’essere
che la storia è andata perdendo quasi che il circolo dello Spirito hegeliano fosse
meglio visibile in un ipotetico senso antiorario. “Schritt zurück – commenta
Vattimo – non è un ritornare indietro nel senso temporale, ma un arretrare nel
senso di prendere le distanze, collocandosi in un punto di vista che permette di
vedere la metafisica come storia, come processo in divenire” 90; così facendo
sarebbe possibile da un lato sottrarsi alla sua indiscutibilità e dall’altro vederla in
rapporto al suo da-dove, ossia in rapporto a quella zona d’ombra in cui si cela il
non detto da cui il detto proviene e verso cui fa segno. Vedere il confronto con la
tradizione in questi termini non può coincidere con il raggiungimento
dell’autotrasparenza dello Spirito così come si dà in Hegel. Non si è
semplicemente agli antipodi di Hegel. “Il passo indietro – spiega Umberto
Galimberti – non intende risalire all origini storiche del pensiero metafisico, nella
persuasione che ciò che viene prima nel tempo possieda una maggior verità o
vicinanza all’essere, il passo indietro è un arretrare allo scopo di storicizzare la
metafisica e così evitare di assumere come indiscutibili e incontrovertibili le
evidenze che in realtà sono semplicemente gli esiti del suo svolgimento storico”
91.
Questa storicizzazione della metafisica è la condizione di questa presa di distanza
storica, perchè un nuovo profilo del senso dell’essere è progettabile solo se il
vecchio profilo offerto dalla metafisica occidentale non si presenta come una
verità incontrovertibile ma come un prodotto storico.
Detto in altri termini, qui non si tratta di mettere in atto un’estrema volontà di
sapere, ma anzi vedere come la storia della metafisica si configuri come un
discendere da una zona d’ombra che va salvaguardata in quanto tale senza
risolversi nella luce dell’Idea. Il tentativo di commiato che Heidegger tenta
rispetto a Hegel impedisce di concepire la sua posizione semplicemente come un
rovesciamento di quella hegeliana, che veda la storia della filosofia solo come un
progressivo allontanamento dall’essere. Per far ciò occorrerebbe definire l’essere
come nascondimento, ma definire è svelare ciò che un fenomeno è in se stesso a
partire da se stesso, perciò l’essere finirebbe per essere svelato in quanto nascosto
e il tentativo heideggeriano di “uscire” dalla tradizione troverebbe Hegel ad
90 Vattimo 1971, p. 95.
91 Galimberti 1986, p.75.
37
attenderlo alla porta. Lo Schritt zurück, non è quindi una teoria che permette di
uscire dall’oblio dell’essere nel senso che questo divenga oggetto tematico del
pensiero, l’errore metafisico non farebbe che ripetersi giacché essa ha fatto
dell’essere un ente in quanto si è sforzata di farlo oggetto di definizioni e di
inserirlo organicamente dentro un pensiero fondativo. Vedere la metafisica come
storia non significa scoprirne il te/loj e il senso del suo sviluppo, significa vederla
come movimento, come venire-da. “La questione della differenziazione del
metodo heideggeriano da quello hegeliano – conclude Vattimo – non si risolve se
non ponendo in generale la questione della possibilità di un pensiero che non sia
più metafisico” 92. Infatti se il pensiero liberato dalla metafisica è quel pensiero
che rammemora l’essere nel senso di assumerlo come contenuto tematico allora lo
Schritt zurück proposto da Heidegger non è che una riproposizione al rovescio
dell’Aufhebung hegeliana. La questione, ben oltre la capacità di chi scrive,
sarebbe da vedere in che termini si possa esperire un pensiero che ponga se stesso
fuori dalla metafisica.
È bene ricordare che qui come alla fine di Essere e Tempo si enuncia il carattere
provvisorio e sperimentale della ricerca. Come lo stesso Heidegger ricorda:
Noi osiamo compiere un esperimento con il passo indietro. Passo indietro non indica un passo
isolato del pensiero, ma il modo d’incamminarsi del pensiero e un lungo cammino. […] Esso porta
in qualche modo il pensiero fuori da quanto è stato fin’ora pensato nella filosofia.93
Heidegger, riprendendo Gadamer ne i Sentieri94, insiste in più punti sul fatto di
non aver mai affermato la necessità del passaggio da un momento di pensiero a un
altro. Ciononostante, il suo tentativo di descrivere l’oblio dell’essere come un
fenomeno unitario non riesce a sottrarsi, come ricorda ancora Gadamer, all’accusa
di una certa “coercizione logica”, accusa a cui era stata sottoposta anche la
costruzione hegeliana. Diversamente da Hegel però, la ricostruzione storica che
Heidegger propone della tradizione non ha carattere teleologico. In altri casi95
Heidegger definirà il suo atteggiamento nei confronti della tradizione occidentale
come Überwindung (superamento) o come Verwindung (oltrepassamento) e
92 Vattimo 1971, p. 96
93 Heidegger 1927, p. 511.
94 Gadamer 1982, pag. 143.
95 Heidegger 1976, pp. 45-65.
38
spiegherà qust’ultimo con l’immagine del dolore o dell’offesa che pur superati
non per questo fanno scomparire ciò che li ha provocati.
Questi concetti, pur distinguendosi per una serie di sfumature, si tengono insieme
e indicano l’atteggiamento metodologico del “secondo” Heidegger nei confronti
della storia del pensiero96, la metafisica.
2.3.
Questo ultimo paragrafo si apre con una domanda: è possibile “criticare”
un’impostazione come quella di Heidegger dove per critica s’intende non il
semplice “rifiuto” della sua prospettiva bensì la sua – temporanea – condivisione e
la messa in discussione “dall’interno” dei suoi risultati97? Se come dice Gadamer
“il commercium di pensiero tra Heidegger e la tradizione resta attaccato alla storia
di un pensatore che spinto dalle proprie domande, cerca ovunque di riconoscere sé
stesso” 98 e se la distruzione o il passo indietro sono le armi della lotta contro il
potere della tradizione metafisica, come sarà possibile dialogare o semplicemente
“criticare” un pensiero che finisce con il chiudersi in una specie di esoterismo
sottratto a qualsiasi possibilità di confronto? Come sottolinea Löwith: “la forza
dell’influsso di Heidegger si manifesta nel fatto che sui suoi testi ci si unisce o ci
si divide. Questa reazione – secondo Löwith – non è di per sè straordinaria né
inquietante; essa è caratteristica dell’accoglienza fatta a tutti i grandi che vollero e
attuarono qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione e che proprio per questo non
mancarono mai di sostenitori e di avversari. Kant non destò solo kantiani, ma
anche appassionati avversari del suo pensiero; contro Fichte si levarono gli
attacchi sarcastici di Schelling e così con Hegel ecc.”99 La situazione della
96 Volpi 1997, p. 361.
97 Così Löwith 1953, p. 15 “Una discussione, che sul terreno di Heidegger e dell’intento suo
affrontasse il problema del rapporto dell’esserci umano all’essere e dell’essere col tempo, non si
può dire sia stata ancora svolta. Manca per questo certo all’uomo d’oggi, immerso nel tempo della
storia e che esiste come contemporaneo, ogni esperienza di un essere eternamente duraturo e vivo,
identico a sé nel mutare di tutte le sue forme. É la profonda ma evidente adeguatezza a questo
tempo del pensiero di Heidegger che gli procura, nonostante ogni apparente remoto distacco, una
tanto diffusa ed efficace influenza. Tuttavia, la sua sfida radicale, che risale fino al limite estremo
della tradizone europea per rimetterne in questione la razionalità, da lui vista come storia di un
decadimento, resta ancora senza adeguata risposta”.
98 Gadamer 1983, p. 149.
99 Löwith 1953, p. 151.
39
filosofia contemporanea rispetto al “caso Heidegger” presenta una specificità tutta
sua: mentre ogni pensatore del passato si ricollegava al suo predecessore e
instaurava con lui un dialogo tra “uguali” (nè Kant nè Hegel disdegnarono di
accogliere e controbattere anche le critiche di figure secondari del loro tempo), il
“monologo” di Heidegger, personalissimo e ubbidiente solo a leggi proprie si è
svolto invece nella totale assenza di discussione100. Heidegger stesso si è
interrrogato nella prefazione dell’Essenza del fondamento sul motivo dell’assenza
di discussione ma a ciò – ed è questa la risposta di Löwith – si può rispondere
chiedendo a Heidegger come ci si possa attendere una “risposta” da altri pensatori
se ciò presuppone a sua volta la condivisione del cammino con un pensiero che si
distingue dai precedenti proprio per il fatto di rifiutare ogni impresa comune.
“L’opera di Heidegger – scrive Löwith – è in sostanza una sola grande sfida
contro un mondo entrato nella decrepitezza e a quest’attacco non è seguita alcuna
confutazione o risposta”101. A questo punto, lo scopo di questo ultimo paragrafo
sarà quello di accennare a una voce che faccia da “controcanto” ad Heidegger
analizzando la prospettiva dei concetti di oltrepassamento e di passo indietro e
mettendo in discussione lo stesso concetto heideggeriano di metafisica.
La “voce critica” che s’intende proporre è quella di Enrico Berti e del suo articolo
Überwindung della metafisica? del 1983.
La strategia critica adottata da Berti è da concepirsi come una specie di
distruzione della pretesa heideggeriana di uscire dalla metafisica. Il lavoro di Berti
si serve prima di una ricostruzione critca dei testi dove la pretesa heideggeriana di
uscire dalla metafisica trova maggiore espressione. Lo scopo di questa
ricostruzione è la messa in luce dei presupposti concettuali che dominano questo
pensiero del superamento. Lavorando sul concetto heideggeriano di metafisica
Berti prova a “salvare” la metafisica da una parte, riducendo la portata del
discorso heideggeriano e dall’altra, cercando allo stesso tempo di recepire le
istanze di fondo della sua critica. Alla critica heideggeriana della metafisica Berti
risponde in primo luogo attraverso una “relativizzazione” dello stesso concetto
heideggeriano di metafisica che considera quest’ultima come un unico blocco. La
metafisica non è una: sotto questo nome si celano diversi approcci al reale,
100 Löwith 1953, p. 151.
101 Löwith 1953, p. 152.
40
ognuno dei quali possiede i proprio presupposti, le proprie leggi e il proprio
concetto di essere.
Se le cose stanno così la prima domanda da porsi è: quale idea di metafisica sta
alla base della critica heideggeriana? E se la metafisica è indubbiamente definibile
come la ricerca dell’essere, qual è il concetto di “essere” presupposto da
Heidegger che gli consente di parlare di superamento della metafisica o di passo
indietro?
L’articolo di Berti comincia con l’osservare che il superamento della metafisica
messo in atto da Heidegger concerne prima di tutto lo stesso pensiero
heideggeriano. In tutta la fase del suo pensiero prima della svolta degli anni ‘30
Heidegger fu un “metafisico”102 e dunque il concetto di oltrepassamento (o di
passo indietro) lo si deve intendere prima di tutto in relazione alla stessa filosofia
heideggeriana.
A suffraggio dell’idea di un Heidegger metafisico prima della svolta, Berti compie
una rapida incursione sui testi heideggeriani fino dagli anni ‘30, di cui si riporta
una sintesi.
Negli scritti precendenti a Essere e Tempo, come La dottrina del giudizio nello
psicologismo, del 1914 oppure La dottrina delle categorie e del significato in
Duns Scoto, del 1916, Heidegger considerava il problema dell’essere, secondo la
formulazione aristotelica, come il problema centrale della sua filosofia. I suoi
primi scritti erano dominati dalla formulazione aristotelica del problema
dell’essere, anche se poi questa è interpretata alla luce della formulazione di Franz
Brentano che concepisce l’essere univocamente. Lo stesso Essere e Tempo è un
libro di metafisica se si considera il suo motto iniziale e tutto il primo capitolo.
Nella prolusione del 1929, Cos’è metafisica?, il problema fondamentale della
filosofia viene fatto coincidere con il problema della metafisica classica: perchè in
generale l’essere e non il niente?
L’elenco dei testi continua fino ad arrivare alla svolta degli anni ‘30 dove
Heidegger denuncia finalmente il bisogno di uscire dalla metafisica. Alle radici
della svolta, nella lettera di Berti ci sono diversi fattori: l’approfondimento di
Platone, in particolare la figura del Demiurgo su cui si incentra la metafisica
orientata secondo Heidegger originariamente verso la tecnica; lo studio di
Nietzsche e della sua dottrina della volontà di potenza; l’esperienza del
102 Berti 1983, p. 19.
41
nazionalsocialismo, visto come la risposta alla frenesia della tecnica di Russia e
America ecc. Nella Lettera sull’umanismo, del 1946, Heidegger riduce
l’umanesimo alla tecnica e considera quest’ultima come conseguenza della
metafisica: la stessa distinzione aristotelica tra qewri¿a, pra=cij e te/xnh sarebbe al
servizio del fare e del produrre103.
A fronte di una tale metafisica che sarebbe poi in realtà la metafisica cartesiana e
moderna – e non quella antica – Heidegger sente il bisogno di andare oltre, di
riattingere all’essere al di là di ciò che è reso disponibile dall’intervento della
tecnica. Questo oltre, che originariamente esprimeva l’esigenza stessa della
metafisica classica viene affidato da Heidegger alla poesia, al linguaggio poetico,
a un pensiero non più solo rappresentativo ma memorativo quale è il pensiero
poetante.
L’oltrepassamento della metafisica che Heidegger cerca di attuare, come per la
distruzione, non va inteso come una semplice eliminazione, un rifiuto della
tradizione. “In che cos’è metafisica? – scrive Berti – Heidegger precisa che il
superamento è da intendersi come un passaggio, un passare attraverso e che
all’essenza di tale passaggio appartiene il dover parlare ancora il linguaggio di ciò
che esso intende superare”104. Nel saggio Oltrepassamento della metafisica105,
Heidegger spiega che Überwindung (oltrepassamento) equivale a Verwindung
(acccettazione-approfondimento, venire a capo, rimettersi da una malattia).
Secondo Heidegger con il suo oltrepassamento la metafisica non scompare ma
permane sotto forma diversa e vige sulla distinzione tra essere e ente106. Nel 1949
Heidegger scrive un’introduzione a che Che cos’è metafisica? intitolata Il ritorno
nel fondamento della metafisica, dove spiega che la scoperta dell’essere come
fondamento coincide con un ritorno della metafisica a tale fondamento; passare
attraverso la metafisica non significa quindi andare oltre o dopo di essa quanto
piuttosto ritornare a ciò che c’era “prima” di essa. Questo ritorno coincide con lo
studio dei presocratici, i pensatori prima della metafisica aristotelico platonica.
Secondo l’interpretazione di Berti, il discorso heideggeriano del oltrepassamento
indica in realtà non il rigetto della metafisica ma piuttosto “ciò che i Greci
avevano indicato come metafisica, ossia un discorso che va oltre la scienza e la
103 Berti 1983, p. 24.
104 Berti 1983, p. 25.
105 Heidegger 1936, pp. 45-66..
106 Berti 1983, p. 25.
42
tecnica”107. L’oltrepassamento heideggeriano, riprendendo il significato “greco”
di metafisica fa segno verso un discorso che sappia andare oltre la tecnica e la
scienza. Ciò spiega il suo continuo rinvio ai greci. “Se poi il discorso di Heidegger
– continua Berti – allude anche a qualcosa che sta veramente oltre la stessa
metafisica, cioè il mistero, l’insondabile, il super-razionale, allora questo
oltrepassamento non è in contrasto con la metafisica ma è ammesso dagli stessi
metafisici”108. Secondo questa impostazione Berti può dire che, al di là dei suoi
sforzi, Heidegger sia rimasto “un metafisico per tutta la vita”109.
Ciò su cui si vuole richiamare l’attenzione è il fatto che Heidegger, secondo Berti
ha professato un tipo di metafisica del tutto particolare, vale a dire una metafisica
dell’essere concepito come univoco, ossia un aristotelismo di tipo platonizzante,
della cui insufficienza egli stesso si è presto reso conto nel suo desiderio di andare
oltre. L’idea di Heidegger e che bisogna uscire dalla metafisica perchè bisogna
lasciare aperto uno spiraglio a ciò che sta oltre la stessa metafisica, l’ambito del
sopra-razionale, sia questo l’ambito della fede o della poesia. Questo discorso
però, non esclude la metafisica anzi la presuppone. Essa dovrà essere intesa come
quel discorso che, argomentando in una certa maniera, sarà in grado di mostrare
che c’è uno spazio ulteriore rispetto a quello della scienza o della tecnica.
Lo scopo di questa ultima parte era di dare un esempio di come bisognasse
impostare una critica a un pensiero quale quello di Heidegger.
Le analisi di Berti mostrano come la critica heideggeriana alla meafisica possa
essere meglio intesa e criticata a sua volta mettendo in luce e lavorando sullo
stesso concetto heideggeriano di metafisica. La metafisica in senso assoluto di cui
parla parla Heidegger diventa nella lettura di Berti “la metafisica di Heidegger”.
Riducendo la portata dei concetti heideggeriani e mostrando, in questo modo,
come questi siano diretti solo contro un “modo” particolare di fare metafisica e
non contro la metafisica tout-court110, Berti riesce a tenere in piedi l’edificio
metafisico e a sostenere che non c’è bisogno di liberarsene, quanto di riuscire a
recepire le istanze della critica e trasformarlo secondo queste. La nostra
107 Berti 1983. p. 27.
108 Berti 1983. p. 27.
109 Berti 1983, pag 27.
110 “Abbiamo visto come ciascuno di questi tentativi abbia colpito un particolare tipo di metafisica,
scambiandola per la metafisica tout court, senza però essere riusciti ad eliminare la possibilità di
qualsiasi metafisica”. Berti 1983, p. 38.
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impressione in merito a questo tipo di lettura è che essa non condividendo i
presupposti del discorso heideggeriano sulla meafisica – per Heidegger la
metafisica come l’essere è una – abbia gioco facile nel ridimensionarne la portata
e la verità. La domanda che sorge in questo caso è se quella di Berti, ponendosi
subito al di fuori dei presupposti heideggeriani, sia una vera critica ad Heidegger e
non un suo “semplice” rifiuto e se poi, la trasformazione radicale del concetto di
metafisica (che poi non è altro che la filosofia stessa) non comporti la necessità di
abbandonarne il anche il nome. Quello che Berti si chiede – quando Heidegger
propone il passo indietro o l’oltrepassamento – è: di quale “forma” di metafisica
si sta parlando? Quale metafisica? Quale concezione dell’essere alla sua base?
E ancora, a partire dal concetto heideggeriano di metafisica (che non coinvolge
tutta la metafisica) e della necessità del suo oltrepassamento è possibile salvare
ancora una metafisica accogliendo le istanze della critica che le vengono rivolte?
Secondo la lettura di Berti, il tentativo heideggeriano di oltrepassare la metafisica
finisce in realtà col lasciarla intatta tant’è che Heidegger ripropone mutatis
mutandis la stessa tematica originaria della metafisica greca: la questione
dell’essere. Alla domanda se poi dopo i vari tentativi di superamento, sia ancora
possibile e abbia senso “fare” metafisica Berti risponde positivamente in quanto
fare metafisica ne va del “bisogno stesso della filosofia”111. Egli scrive: “solo la
rinuncia completa a filosofare può comportare infatti l’effettiva impossibilità di
una simile metafisica, ma una siffatta rinuncia sarebbe rinuncia alla stessa
umanità, e comunque rinuncia a discutere [...] naturalmente non pretendo di
proporre una metafisica nuova, anzitutto perchè non ne sarei capace, e poi perchè
forse non ce n’è bisogno, in quanto di metafisiche ce ne sono già abbastanza e,
come prima cosa, è bene cercare di riconoscerle esattamente e di rendersi conto
della peculiarità di ciascuna, nonchè della sua eventuale validità. Ecco il valore
anche teoretico della storia della filosofia”112.
A quale nucleo speculativo la metafisica debba attingere Berti risponde che: “Ha
ragione Heidegger quando afferma che l’unica vera filosofia è quella dei greci,
perchè la filosofia è stata inventata dai greci e fare filosofia significa pensare alla
maniera dei greci [...]. I greci hanno invenato la flosofia perchè hanno scoperto
che la realtà, cioè l’esperienza umana, la vita la storia è problematica, cioè ha
111 Berti 1983, p. 38.
112 Berti 1983, p. 39.
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bisogno di una spiegazione, di un perchè, dovunque e comunque tale perchè
venga individuato113...”.
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