.........................distruzione (Destruktion) fenomenologica della storia dell’ontologia e 4 Gadamer 1983, p. 24; pp. 138-149. 5 Volpi 1984, p.15; 1985, p. 74; 1988, p. 219; 1990 p. 4; 6 “Di continuo ci si scandalizza per le forzature che si ravvisano nelle mie interpretazioni [...] si può dire che gli storici della filosofia hanno ragione quando rivolgono quest’accusa contro quelli che vorrebbero promuovere un dialogo di pensiero tra i pensatori. A differenza della filologia storica, che ha il proprio compito, un dialogo di pensiero è soggetto ad altre leggi che sono più vulnerabili. Nel dialogo è più alto il rischio dell’errore, e sono più frequenti le mancanze”. Heidegger 1929, p. 7. 7 A tal proposito, Berti 1992, pp. 44-111. 8 Volpi 1985, p. 74. 9 Volpi 1988, p. 219. 3 nel secondo capitolo a quello di passo indietro (Schritt zurück) appartenenti rispettivamente allo Heidegger prima e dopo la cosiddetta Svolta degli anni ’30. Si riporta di seguito il contenuto dei singoli capitoli. 1) Il primo capitolo a carattere introduttivo rintraccia sommariamente la genesi del concetto di distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia cercando di ricondurlo alla ricerca dell’essere annunciata in Essere e Tempo. Il termine distruzione non va inteso nell’accezione negativa che solitamente l’accompagna e sarà invece inteso nel senso di una de-costruzione10 e di una fondazione radicale dei concetti fondamentali della tradizione che ha di mira la riproposizione della questione dell’essere e la sua connessione con il tempo. La ricostruzione del contesto della ricerca intrapresa da Essere e Tempo11 e la riconduzione in essa del concetto heideggeriano di distruzione fenomenologica sarà svolto attraverso le proposte interpretative di Franco Volpi, Adriano Fabris, Costantino Esposito, David Wood. Sarà data particolare attenzione al “debito metodologico” che l’approccio heideggeriano alla storia della filosofia ha contratto nei confonti della fenomenologia husserliana, così come risulta dall’articolo di Volpi “L’approccio fenomenologico alla storia della filosofia del primo Heidegger”. 2) Con l’espressione passo indietro (da considerare insieme alla coppia superamento-oltrepassamento) si fa riferimento alla disposizione metodologica con la quale Heidegger affronta il tema della “tradizione” dopo Essere e Tempo. Il termine passo indietro designa il tentativo di Heidegger di prendere commiato dalla tradizione non scorgendo più dopo la svolta degli anni ‘30 la possibilità di una riformulazione radicale dell’ontologia. Il passo indietro verrà messo da Heidegger a confronto, nella Costituzione onto-teo-logica della metafisica12, col concetto hegeliano di Aufhebung al fine di tracciare una serie di distinzioni tra il suo approccio alla storia della filosofia e quello di Hegel. La trattazione di questo tema si è avvalso dei testi di Gianni Vattimo, Umberto Galimberti, Hans-Georg Gadamer, Enrico Berti. 10 Tale è il senso che Volpi attribuisce al termine Destruktion nel suo Glossario (2005, p. 351), riferendosi all’utilizzo del termine Abbauen (decostruzione appunto). 11 Heidegger 1927. 12 Heidegger 1957, pp. 17-35. 4 Cap. 1 La distruzione della storia dell’ontologia. 1.1 Lo scopo13 di questa prima parte del lavoro è la trattazione del concetto di distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia così come è annunciata nel § 6 di Essere e Tempo. Seguendo il suggerimento di Gadamer per comprendere le operazioni heideggeriane sulla tradizione è necessario studiarle nel particolare contesto di cui fanno parte. Seguirà in questi primi paragrafi (1.1.1-1.1.4) una breve ricostruzione delle problematiche che animano Essere e Tempo al fine di poter cogliere in quelli successivi (1.2.1-1.2.4.) i nessi tra queste e l’esigenza di attuare una distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia. 1.1.1 Come si sa, è perfino banale dirlo, Essere e Tempo è un’opera incompiuta. Se si apre il testo all’altezza del § 8 dove è tracciato il piano dell’opera, si vede che la trattazione del tema indicato dal titolo – il legame tra essere e tempo ossia la determinazione della costitutiva temporalità di ciò che è chiamato essere – avrebbe dovuto prevedere due parti, ciascuna delle quali divise in tre sezioni. La prima parte, indica il compito di analizzare l’esserci (l’uomo), nei modi di essere che gli sono propri: anzitutto [1.1] in maniera preparatoria, poi [1.2] nel suo 13 Per la stesura del Capitolo 1 ci si è avvalsi delle ricostruzioni di A. Fabris 2005; C. Esposito 1997; G. Vattimo 1971; F. Volpi 1988; 1997. 5 costitutivo carattere temporale, infine [1.3] è programmata un’ indagine dell’essere specifica su tempo e essere pensata come un’indagine sulla temporalità dell’essere in quanto tale. Per la seconda parte invece, si annuncia l’intenzione di alcuni approfondimenti sulla storia del pensiero prendendo di mira il modo in cui la storia della filosofia si è confrontata con la nozione di essere e della sua connessione al tempo. Quest’ ultima parte è stata anche indicata da Heidegger sotto il titolo di distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia, ma di ciò si tratterà in seguito. Per questa seconda parte il progetto dell’opera avrebbe previsto un confronto con [2.1] la dottrina dello schematismo trascendentale elaborata da Kant nella Critica della ragion pura, [2.2] una discussione sul fondamento ontologico del cogito cartesiano e in ultimo, [2.3] un’analisi della trattazione del tempo proposta da Aristotele nel IV libro della Fisica, come esempio fondamentale della concezione del tempo propria degli antichi. La trattazione di Essere e Tempo si arresta alla seconda sezione della prima parte e, non a caso, il testo si chiude con una serie di domande che rimandano ad ulteriori trattazioni. Con la chiusura di Essere e Tempo il problema dell’essere non è stato neanche posto. Essere e Tempo si presenta così come un’opera aperta a successive trattazioni integrative o di sviluppo di questioni che Heidegger si è solo limitato ad accennare. La prospettiva di incompiutezza – e perciò di apertura – di Essere e Tempo è quindi uno di quei tratti costitutivi che durante la lettura non deve essere perso d’occhio. Secondo la ricostruzione di Fabris, per comprendere le questioni poste in Essere e Tempo è necessario fare riferimento a una serie di documenti heideggeriani redatti prima e durante il suo stesso periodo di elaborazione; con ciò si fa riferimento principalmente ai testi di alcuni corsi universitari, ad alcune conferenze e a materiali per l’attività didattica disponibili nella seconda edizione delle opere complete – Gesamtausgabe – iniziata nel 197514. 14 Tale edizione, secondo Fabris, ha il merito di mostrare come il pensiero di Heidegger si configuri come un vero e proprio “itinerario” le cui tappe non sono da considerarsi separatamente: “Quello di Heidegger è, in altre parole un autentico Denkweg, una via sulla quale il suo pensiero si pone in cammino e dalla quale si dipartono, volendo usare alcune metafore care ad Heidegger, ulteriori ‘sentieri’ (a volte percorribili e a volte interrotti), rispetto ai quali la riflessione filosofica ha la funzione di porre dei segnavia: al punto che gli stessi testi heideggeriani debbono essere in definitiva concepiti – secondo un motto apposto dallo stesso Heidegger, pochi giorni prima di morire, sul frontespizio della Gesamtausgabe – come ‘Vie non opere’ ”. 6 In particolare i corsi universitari tenuti da Heidegger nel primo periodo friburghese (1919-23) insieme a quelli di Marburgo (1923-28) sono importanti per comprendere genesi e struttura di Essere e Tempo. Infatti in essi si trovano tre motivi predominanti che intrecciandosi e sovrapponendosi troveranno in Essere e Tempo una elaborazione tutta particolare. Il primo “motivo”, quello trascendentale, riguarda il confronto di Heidegger con il neokantismo da una parte e con la fenomenologia15 di Husserl dall’altra e si svolgerà seguendo il progetto di una loro riformulazione per scopi diversi da quelli che avevano animato i loro fondatori. Il secondo “motivo”, ermeneutico, riguarda l’attenzione per certi aspetti della vita cristiana e per alcuni documenti in cui essa trovava espressione. Infine il terzo “motivo”, ontologico, ha come scopo una vera e propria resa dei conti con la tradizione ontologica attraverso una riproposizione del problema dell’essere in una nuova prospettiva che mirerà a cogliere l’essere come intrinsecamente temporale e riterrà, per giungere a tale scopo, di dover partire dall’analisi di un ente privilegiato, l’esserci, ovvero l’ente che noi stessi siamo. 1.1.2. Essere e Tempo è un’opera che a una prima lettura può suscitare un certo “imbarazzo”: nonostante si sottolinei di frequente l’importanza di una ripetizione della domanda dell’essere e della sua connessione con il tempo la trattazione di questo tema è assente. Secondo la ricostruzione di Fabris16, quello dell’essere non era del resto l’interesse primario di Heidegger all’interno della sua riflessione che si muoveva intorno alla temperie culturale del primo Novecento e degli indirizzi filosofici predominanti. Innanzitutto la ripresa di alcuni motivi desunti dalla filosofia trascendentale di Kant, il cosiddetto ‘neokantismo’ (o ‘neocriticismo’), nella sua versione della scuola di Marburgo e in quella della scuola del Baden e in parallelo – insieme all’emergere di alcuni motivi desunti dalla diffusione delle 15 Il discorso sul legame tra Heidegger e la fenomenologia, qui solo accennato, sarà sviluppato più approfonditamente in 1.2 (a proposito del commento al § 6 di Essere e Tempo) attraverso le analisi di Volpi 1988. 16 Fabris 2005, p. 17. 7 concezioni di Kierkegaard, Nietzsche e Dostoevskij – gli sviluppi, nell’ambito della fenomenologia, di Husserl, la cui prospettiva è aperta nel 1900-1901, nei due volumi delle Ricerche logiche. Un elemento comune di queste diverse tendenze filosofiche è il netto di rifiuto dell’approccio dello “psicologismo”, il quale sostiene la possibilità di riportare le leggi logiche al funzionamento della psiche umana. In risposta a tale approccio, Heinrich Rickert, rappresentante del neokantismo del Baden, elabora una dottrina pura dei valori e identifica in una filosofia dei valori il fondamento delle scienze positive; Husserl, da parte sua, propone di sviluppare una dottrina dell’intenzionalità in grado di cogliere le leggi pure, irriducibili alla modalità psicologica del loro attingimento, che sono alla base di ogni pensare. La cosa che va notata subito è che Heidegger si inserisce in questo discorso proponendo una posizione sin dall’inizio originale. Al progetto di una logica pura elaborata da Husserl, Heidegger contrappone il progetto di una logica calata e radicata nell’ambito della vita effettiva: una logica “impura”, che a partire dalla vita ha intenzione di cogliere, nella vita appunto, la vita stessa. Scegliendo come suo un orizzonte pre-teoretico, viene meno la distinzione che contrappone soggetto e oggetto e si supera così il presupposto sia dell’indagine kantiana che di quella neokantiana. La vita andrà a configurarsi come quel fenomeno privilegiato che richiede lo sviluppo non tanto di una scienza originaria, ma piuttosto di una scienza dell’origine17. Tale scienza sarà identificata con la fenomenologia, anche se opportunamente reinterpretata. 2.2 Riprendendo i gadameriani Sentieri di Heidegger77, il confronto di Heidegger con la tradizione rientra in un modo “tipico” di fare filosofia in Germania dopo Schleiermaicher e Hegel. La dimensione in cui si svolge il confronto con la tradizione non è – come è facile da prevedere – quella della storiografia. Hegel, altro filosofo a cui sta particolarmente a cuore il confronto con la tradizione, faceva della filosofia il centro di sviluppo del progredire storico in quanto tale. La pretesa di ordinare logicamente la serie delle concettualizzazioni filosofiche dimostrando la presenza della Ragione nella storia – secondo Gadamer – non ha resistito a lungo alla critica della scuola storica. Gadamer cita Dilthey per fare un esempio e quella che il neokantismo ha definito come la “storia dei problemi”, e individua in quest’ultima uno dei luoghi principali da cui il filosofare heideggeriano ha preso le mosse. Quando Heidegger ha cominciato il suo percorso filosofico la critica della storia dei problemi era nell’aria. Al tempo della prima guerra mondiale e in seguito con la dissoluzione del quadro filosofico trascendentale, doveva cadere anche la storia dei problemi. La stessa ricerca di Essere e Tempo78, secondo Gadamer riflette il desiderio del filosofo di cercare una sintesi tra la problematica diltheyana della storicità e la problematica scientifica che era alla base dell’orientamento di Husserl. Ne sono prova la dedica a Husserl e l’omaggio a Dilthey che compaiono nel testo. Sul motivo dominante di questo confronto con la storia nei primi anni ‘20, secondo Gadamer, ci sarebbe il tentativo da parte di Heidegger di recuperare una visione adeguata della fede cristiana, e dei sui messaggi originari offuscati dall’ incontro con la filosofia greca e la sua ritraduzione nella tradizione metafisica di stampo scolastico79. Riassumendo brevemente i passi percorsi fino a qui si è stabilito che a partire dall’analitica dell’esserci, la dimensione in cui si muove il sapere storiografico non risulta essere sufficientemente originaria ed è solo per mezzo di una 77 Si riprende il saggio di Gadamer 1983, pp. 138-149. 78 Heidegger 1927. 79 L’interpretazione del motivo religioso come “motivo segreto” del filosofare heideggeriano è condiviso da Löwith 1953, p. 156. “Ma, fondamento sotterraneo di tutto ciò che Heidegger da sempre è venuto enunciando, voce che desta e si fa ascoltare intensamente da molti, è un motivo non mai enunciato: il motivo religioso, separato dal contesto della fede cristiana, ma proprio per questa sua indeterminazione rispetto ai legami di qualsiasi formulazione in dogmi tanto più consono al sentire di coloro che non sono più cristiani credenti ma pure vorrebbero essere religiosi”. 33 chiarificazione della dimensione primaria della storicità dell’esserci rispetto a qualsiasi sapere storiografico che a quest’ultimo sarà garantito un fondamento sicuro. Come s’è detto a proposito di Kant, gli autori si comprendono per mezzo di un’idea guida che illumina il percorso di lettura e ciò che in essi è preso di mira non pertiene propriamente alla dimensione del detto che risulta essere importante solo prima facie: la questione fondamentale nel confronto con gli autori è la chiarificazione di ciò che nel detto risulta taciuto, solo indicato. La dimensione in cui si deve leggere il confronto è propriamente quella speculativa ed è a partire da quest’approccio con la tradizione che i nomi di Hegel e Heidegger si richiamano spesso l’un l’altro seppure con la necessità di una serie di “distinguo” che si proverà ad accennare. Ne I sentieri di Heidegger Gadamer riferisce che Hegel chiamava la storia della filosofia il cuore della storia universale. La pretesa fondamentale della storia della filosofia hegeliana, la sua idea guida (o ipotesi ermeneutica), era di dimostrare nelle costruzioni filosofiche anteriori la presenza della Ragione, e il loro necessario sboccare nella stessa filosofia hegeliana come loro sintesi definitiva. In Heidegger l’idea guida è rappresentata dall’oblio dell’essere e il confronto con la tradizione, lungi dal prefigurarne un processo ascendente, è dettato da un desiderio di rinnovamento e di “ripetizione” del problema dell’essere. Riguardo al rapporto tra Heidegger e Hegel, si intende ora fare riferimento a un testo tratto da un’ esercitazione seminariale del 1957 e pubblicato in Identità e differenza80 sotto il titolo di Costituzione onto-teo-logica della metafisica. In esso Heidegger illumina una serie di differenze tra la sua impostazione e quella di Hegel nel confronto con la tradizione ed è possibile rintracciare la persistenza di una serie di motivi a cui si è già accennato, nonostante i diversi mutamenti a cui è andata soggetta la filosofia heideggeriana nell’arco di tempo che va dal 1929 al 1957. Il testo si apre “sondando la possibilità di stabilire un colloquio con Hegel”81. Un colloquio con un pensatore può riguardare solo “la questione (Sache) del pensiero”82, la quale però non è da intendersi come se ci fosse una questione che 80 Heidegger 1957. 81 Heidegger 1957, p. 17. 82 Heidegger 1957, p. 17. 34 abbia per oggetto il pensiero. Con l’espressione questione del pensiero, Heidegger intende una questione che porta il pensiero ad appropriarsi di sé fino in fondo. Heidegger sostiene di condividere con Hegel la questione del pensiero, che è per entrambi l’essere e non solo: per entrambi la questione del pensiero è in se stessa storica (non storiografica). “Per Hegel – scrive Heidegger – la questione del pensiero è storica nel senso di un accadere processuale che si dispiega per mezzo della dialettica dell’essere”83. L’essere in quanto pensiero passa attraverso una serie di tappe che corrispondono ad una serie di configurazioni dello Spirito, ognuna di queste è caratterizzata da un differente grado di sviluppo. La questione del pensiero è l’essere in quanto pensiero che si sviluppa, e lo stesso svolgimento del pensiero è rappresentato nella storia della filosofia. L’atteggiamento di Hegel con la storia della filosofia, come si è visto per Heidegger, non segue dettami della storiografia, ma s’inscrive all’interno della sua tensione speculativa84. Sin qui sono stati tracciati i punti condivisi dall’impostazione di Heidegger e quella di Hegel: quale sia la questione del pensiero – l’essere – e quale sia il modo attraverso cui questa questione è posta, il confronto con la storia della filosofia. Non bisogna farsi trarre in inganno dalle “somiglianze” che sono enunciate all’inizio e schiacciare la posizione heideggeriana su quella hegeliana: è proprio Heidegger a mettere in guardia il lettore su questo punto quando sottolinea che lo stesso (das Selbe) non è l’uguale (das Gleiche), nell’uguale scompare la diversità che invece si manifesta nello “stesso”85 ed è a queste differenze che bisogna prestare attenzione. Per Hegel la misura per il colloquio con la storia della filosofia è: accedere all’energia e all’ambito di ciò che i pensatori che precedono hanno pensato[…]. La forza di volta in volta in volta propria dei pensatori Hegel la trova in quello che essi hanno pensato, nella misura in cui ciò che hanno pensato può essere elevato, come un certo grado di sviluppo che è stato di volta in volta raggiunto, al pensiero assoluto. Questo pensiero è assoluto solo in quanto si muove nel suo processo dialettico-speculativo e per farlo esige la gradualità. Per noi la misura del colloquio con la tradizione storica è la stessa, trattandosi di accedere all’energia del pensiero che ci ha preceduti. Solo che noi cerchiamo quell’energia non in ciò che è già stato pensato ma in qualcosa di impensato, a partire da cui il pensato riceve il suo spazio 83 Heidegger 1957, p. 19. 84 Vedi in proposito Gadamer 1983, p. 138. 85 La parola “stesso” distinta da “uguale”, indica non la semplice coincidenza di due termini che dissolve le differenze, quanto piuttosto la comunanza di un “ambito” di provenienza che lascia ancora spazio alla differenza. A questo proposito cfr. Heidegger 1957, p. 7, in cui Heidegger traduce l’espressione greca to auto/ nell’espressione tedesca Zusammengehören. 35 essenziale. Ma solo il già-pensato prepara l’ancora-impensato.[…] La misura fornita dall’impensato non conduce all’inserimento del già-pensato in uno sviluppo ed in una sistematica sempre più elevati e tali che lo superano, ma esige che il pensiero tramandatoci sia messo in libertà nel suo già-stato (Gewesenes) tenuto ancora in serbo. [...]Per Hegel il colloquio con la storia della filosofia ha il carattere del superamento (Aufhebung), ossia del comprendere mediatore nel senso della fondazione assoluta. Per noi il carattere del colloquio non è più il superamento , ma il passo indietro (Schritt züruck). Il superamento conduce in un ambito in cui ciò che è superato viene raccolto più in alto […] Il passo indietro indica nella direzione dell’ambito, trascurato fino ad oggi, a partire da cui l’essenza della verità diventa, più di ogni altra cosa, degna di essere pensata.86 Scopo di Hegel è la fondazione del sapere assoluto, per cui il colloquio con la storia della filosofia gli occorre per sancire e legittimare, come storicamente necessaria, la posizione della filosofia dello Spirito. I pensatori vengono interpretati in base a ciò che, nel loro pensiero, può essere preso, immesso nel processo di sviluppo dello Spirito ed elevato a un certo grado di sviluppo di quest’ultimo. Riprendendo quanto si è detto sopra87 riguardo la necessità della presenza di una idea guida che illumini il confronto con la tradizione, si può allora sostenere che la cifra di questo “colloquio tra Hegel e la tradizione è data dal concetto di superamento (Aufhebung) il quale – spiega Gianni Vattimo – conserva e insieme supera nella filosofia assoluta ciò che di vero ha detto il pensiero passato”88. Il progetto di Heidegger, pur condividendo con Hegel il proposito di inserire la storia in un orizzonte di senso che ne renda intelligibile il divenire, non ne condivide il fine: non si tratta di costruire una storia progressiva del pensiero che veda al suo interno un succedersi graduale e necessario: per Heidegger si tratta piuttosto di illuminare il contesto in ombra a partire da cui il pensato si origina, si tratta ancora una volta di attraversare il detto per giungere in qualche modo alle sue spalle. Come ricostruisce Vattimo “al metodo hegeliano della Aufhebung, Heidegger contrappone lo Schritt zurück, il passo indietro”89. Questo metodo non intende essere un mero rovesciamento di direzione del concetto hegeliano di storia; se così fosse Heidegger resterebbe inevitabilmente legato al filosofare hegeliano, sancendone di fatto la sua insuperabilità. Non si tratta infatti di 86 Heidegger 1957, pp. 21-22. 87 Cfr. Supra, § 1.4. 88 Vattimo 1971, p. 95. 89 Vattimo 1971, p. 95. 36 compiere un passo indietro nel senso di risalire alle origini storico-storiografiche del pensiero come se ciò che è prima possedesse maggiore vicinanza all’essere che la storia è andata perdendo quasi che il circolo dello Spirito hegeliano fosse meglio visibile in un ipotetico senso antiorario. “Schritt zurück – commenta Vattimo – non è un ritornare indietro nel senso temporale, ma un arretrare nel senso di prendere le distanze, collocandosi in un punto di vista che permette di vedere la metafisica come storia, come processo in divenire” 90; così facendo sarebbe possibile da un lato sottrarsi alla sua indiscutibilità e dall’altro vederla in rapporto al suo da-dove, ossia in rapporto a quella zona d’ombra in cui si cela il non detto da cui il detto proviene e verso cui fa segno. Vedere il confronto con la tradizione in questi termini non può coincidere con il raggiungimento dell’autotrasparenza dello Spirito così come si dà in Hegel. Non si è semplicemente agli antipodi di Hegel. “Il passo indietro – spiega Umberto Galimberti – non intende risalire all origini storiche del pensiero metafisico, nella persuasione che ciò che viene prima nel tempo possieda una maggior verità o vicinanza all’essere, il passo indietro è un arretrare allo scopo di storicizzare la metafisica e così evitare di assumere come indiscutibili e incontrovertibili le evidenze che in realtà sono semplicemente gli esiti del suo svolgimento storico” 91. Questa storicizzazione della metafisica è la condizione di questa presa di distanza storica, perchè un nuovo profilo del senso dell’essere è progettabile solo se il vecchio profilo offerto dalla metafisica occidentale non si presenta come una verità incontrovertibile ma come un prodotto storico. Detto in altri termini, qui non si tratta di mettere in atto un’estrema volontà di sapere, ma anzi vedere come la storia della metafisica si configuri come un discendere da una zona d’ombra che va salvaguardata in quanto tale senza risolversi nella luce dell’Idea. Il tentativo di commiato che Heidegger tenta rispetto a Hegel impedisce di concepire la sua posizione semplicemente come un rovesciamento di quella hegeliana, che veda la storia della filosofia solo come un progressivo allontanamento dall’essere. Per far ciò occorrerebbe definire l’essere come nascondimento, ma definire è svelare ciò che un fenomeno è in se stesso a partire da se stesso, perciò l’essere finirebbe per essere svelato in quanto nascosto e il tentativo heideggeriano di “uscire” dalla tradizione troverebbe Hegel ad 90 Vattimo 1971, p. 95. 91 Galimberti 1986, p.75. 37 attenderlo alla porta. Lo Schritt zurück, non è quindi una teoria che permette di uscire dall’oblio dell’essere nel senso che questo divenga oggetto tematico del pensiero, l’errore metafisico non farebbe che ripetersi giacché essa ha fatto dell’essere un ente in quanto si è sforzata di farlo oggetto di definizioni e di inserirlo organicamente dentro un pensiero fondativo. Vedere la metafisica come storia non significa scoprirne il te/loj e il senso del suo sviluppo, significa vederla come movimento, come venire-da. “La questione della differenziazione del metodo heideggeriano da quello hegeliano – conclude Vattimo – non si risolve se non ponendo in generale la questione della possibilità di un pensiero che non sia più metafisico” 92. Infatti se il pensiero liberato dalla metafisica è quel pensiero che rammemora l’essere nel senso di assumerlo come contenuto tematico allora lo Schritt zurück proposto da Heidegger non è che una riproposizione al rovescio dell’Aufhebung hegeliana. La questione, ben oltre la capacità di chi scrive, sarebbe da vedere in che termini si possa esperire un pensiero che ponga se stesso fuori dalla metafisica. È bene ricordare che qui come alla fine di Essere e Tempo si enuncia il carattere provvisorio e sperimentale della ricerca. Come lo stesso Heidegger ricorda: Noi osiamo compiere un esperimento con il passo indietro. Passo indietro non indica un passo isolato del pensiero, ma il modo d’incamminarsi del pensiero e un lungo cammino. […] Esso porta in qualche modo il pensiero fuori da quanto è stato fin’ora pensato nella filosofia.93 Heidegger, riprendendo Gadamer ne i Sentieri94, insiste in più punti sul fatto di non aver mai affermato la necessità del passaggio da un momento di pensiero a un altro. Ciononostante, il suo tentativo di descrivere l’oblio dell’essere come un fenomeno unitario non riesce a sottrarsi, come ricorda ancora Gadamer, all’accusa di una certa “coercizione logica”, accusa a cui era stata sottoposta anche la costruzione hegeliana. Diversamente da Hegel però, la ricostruzione storica che Heidegger propone della tradizione non ha carattere teleologico. In altri casi95 Heidegger definirà il suo atteggiamento nei confronti della tradizione occidentale come Überwindung (superamento) o come Verwindung (oltrepassamento) e 92 Vattimo 1971, p. 96 93 Heidegger 1927, p. 511. 94 Gadamer 1982, pag. 143. 95 Heidegger 1976, pp. 45-65. 38 spiegherà qust’ultimo con l’immagine del dolore o dell’offesa che pur superati non per questo fanno scomparire ciò che li ha provocati. Questi concetti, pur distinguendosi per una serie di sfumature, si tengono insieme e indicano l’atteggiamento metodologico del “secondo” Heidegger nei confronti della storia del pensiero96, la metafisica. 2.3. Questo ultimo paragrafo si apre con una domanda: è possibile “criticare” un’impostazione come quella di Heidegger dove per critica s’intende non il semplice “rifiuto” della sua prospettiva bensì la sua – temporanea – condivisione e la messa in discussione “dall’interno” dei suoi risultati97? Se come dice Gadamer “il commercium di pensiero tra Heidegger e la tradizione resta attaccato alla storia di un pensatore che spinto dalle proprie domande, cerca ovunque di riconoscere sé stesso” 98 e se la distruzione o il passo indietro sono le armi della lotta contro il potere della tradizione metafisica, come sarà possibile dialogare o semplicemente “criticare” un pensiero che finisce con il chiudersi in una specie di esoterismo sottratto a qualsiasi possibilità di confronto? Come sottolinea Löwith: “la forza dell’influsso di Heidegger si manifesta nel fatto che sui suoi testi ci si unisce o ci si divide. Questa reazione – secondo Löwith – non è di per sè straordinaria né inquietante; essa è caratteristica dell’accoglienza fatta a tutti i grandi che vollero e attuarono qualcosa di nuovo rispetto alla tradizione e che proprio per questo non mancarono mai di sostenitori e di avversari. Kant non destò solo kantiani, ma anche appassionati avversari del suo pensiero; contro Fichte si levarono gli attacchi sarcastici di Schelling e così con Hegel ecc.”99 La situazione della 96 Volpi 1997, p. 361. 97 Così Löwith 1953, p. 15 “Una discussione, che sul terreno di Heidegger e dell’intento suo affrontasse il problema del rapporto dell’esserci umano all’essere e dell’essere col tempo, non si può dire sia stata ancora svolta. Manca per questo certo all’uomo d’oggi, immerso nel tempo della storia e che esiste come contemporaneo, ogni esperienza di un essere eternamente duraturo e vivo, identico a sé nel mutare di tutte le sue forme. É la profonda ma evidente adeguatezza a questo tempo del pensiero di Heidegger che gli procura, nonostante ogni apparente remoto distacco, una tanto diffusa ed efficace influenza. Tuttavia, la sua sfida radicale, che risale fino al limite estremo della tradizone europea per rimetterne in questione la razionalità, da lui vista come storia di un decadimento, resta ancora senza adeguata risposta”. 98 Gadamer 1983, p. 149. 99 Löwith 1953, p. 151. 39 filosofia contemporanea rispetto al “caso Heidegger” presenta una specificità tutta sua: mentre ogni pensatore del passato si ricollegava al suo predecessore e instaurava con lui un dialogo tra “uguali” (nè Kant nè Hegel disdegnarono di accogliere e controbattere anche le critiche di figure secondari del loro tempo), il “monologo” di Heidegger, personalissimo e ubbidiente solo a leggi proprie si è svolto invece nella totale assenza di discussione100. Heidegger stesso si è interrrogato nella prefazione dell’Essenza del fondamento sul motivo dell’assenza di discussione ma a ciò – ed è questa la risposta di Löwith – si può rispondere chiedendo a Heidegger come ci si possa attendere una “risposta” da altri pensatori se ciò presuppone a sua volta la condivisione del cammino con un pensiero che si distingue dai precedenti proprio per il fatto di rifiutare ogni impresa comune. “L’opera di Heidegger – scrive Löwith – è in sostanza una sola grande sfida contro un mondo entrato nella decrepitezza e a quest’attacco non è seguita alcuna confutazione o risposta”101. A questo punto, lo scopo di questo ultimo paragrafo sarà quello di accennare a una voce che faccia da “controcanto” ad Heidegger analizzando la prospettiva dei concetti di oltrepassamento e di passo indietro e mettendo in discussione lo stesso concetto heideggeriano di metafisica. La “voce critica” che s’intende proporre è quella di Enrico Berti e del suo articolo Überwindung della metafisica? del 1983. La strategia critica adottata da Berti è da concepirsi come una specie di distruzione della pretesa heideggeriana di uscire dalla metafisica. Il lavoro di Berti si serve prima di una ricostruzione critca dei testi dove la pretesa heideggeriana di uscire dalla metafisica trova maggiore espressione. Lo scopo di questa ricostruzione è la messa in luce dei presupposti concettuali che dominano questo pensiero del superamento. Lavorando sul concetto heideggeriano di metafisica Berti prova a “salvare” la metafisica da una parte, riducendo la portata del discorso heideggeriano e dall’altra, cercando allo stesso tempo di recepire le istanze di fondo della sua critica. Alla critica heideggeriana della metafisica Berti risponde in primo luogo attraverso una “relativizzazione” dello stesso concetto heideggeriano di metafisica che considera quest’ultima come un unico blocco. La metafisica non è una: sotto questo nome si celano diversi approcci al reale, 100 Löwith 1953, p. 151. 101 Löwith 1953, p. 152. 40 ognuno dei quali possiede i proprio presupposti, le proprie leggi e il proprio concetto di essere. Se le cose stanno così la prima domanda da porsi è: quale idea di metafisica sta alla base della critica heideggeriana? E se la metafisica è indubbiamente definibile come la ricerca dell’essere, qual è il concetto di “essere” presupposto da Heidegger che gli consente di parlare di superamento della metafisica o di passo indietro? L’articolo di Berti comincia con l’osservare che il superamento della metafisica messo in atto da Heidegger concerne prima di tutto lo stesso pensiero heideggeriano. In tutta la fase del suo pensiero prima della svolta degli anni ‘30 Heidegger fu un “metafisico”102 e dunque il concetto di oltrepassamento (o di passo indietro) lo si deve intendere prima di tutto in relazione alla stessa filosofia heideggeriana. A suffraggio dell’idea di un Heidegger metafisico prima della svolta, Berti compie una rapida incursione sui testi heideggeriani fino dagli anni ‘30, di cui si riporta una sintesi. Negli scritti precendenti a Essere e Tempo, come La dottrina del giudizio nello psicologismo, del 1914 oppure La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto, del 1916, Heidegger considerava il problema dell’essere, secondo la formulazione aristotelica, come il problema centrale della sua filosofia. I suoi primi scritti erano dominati dalla formulazione aristotelica del problema dell’essere, anche se poi questa è interpretata alla luce della formulazione di Franz Brentano che concepisce l’essere univocamente. Lo stesso Essere e Tempo è un libro di metafisica se si considera il suo motto iniziale e tutto il primo capitolo. Nella prolusione del 1929, Cos’è metafisica?, il problema fondamentale della filosofia viene fatto coincidere con il problema della metafisica classica: perchè in generale l’essere e non il niente? L’elenco dei testi continua fino ad arrivare alla svolta degli anni ‘30 dove Heidegger denuncia finalmente il bisogno di uscire dalla metafisica. Alle radici della svolta, nella lettera di Berti ci sono diversi fattori: l’approfondimento di Platone, in particolare la figura del Demiurgo su cui si incentra la metafisica orientata secondo Heidegger originariamente verso la tecnica; lo studio di Nietzsche e della sua dottrina della volontà di potenza; l’esperienza del 102 Berti 1983, p. 19. 41 nazionalsocialismo, visto come la risposta alla frenesia della tecnica di Russia e America ecc. Nella Lettera sull’umanismo, del 1946, Heidegger riduce l’umanesimo alla tecnica e considera quest’ultima come conseguenza della metafisica: la stessa distinzione aristotelica tra qewri¿a, pra=cij e te/xnh sarebbe al servizio del fare e del produrre103. A fronte di una tale metafisica che sarebbe poi in realtà la metafisica cartesiana e moderna – e non quella antica – Heidegger sente il bisogno di andare oltre, di riattingere all’essere al di là di ciò che è reso disponibile dall’intervento della tecnica. Questo oltre, che originariamente esprimeva l’esigenza stessa della metafisica classica viene affidato da Heidegger alla poesia, al linguaggio poetico, a un pensiero non più solo rappresentativo ma memorativo quale è il pensiero poetante. L’oltrepassamento della metafisica che Heidegger cerca di attuare, come per la distruzione, non va inteso come una semplice eliminazione, un rifiuto della tradizione. “In che cos’è metafisica? – scrive Berti – Heidegger precisa che il superamento è da intendersi come un passaggio, un passare attraverso e che all’essenza di tale passaggio appartiene il dover parlare ancora il linguaggio di ciò che esso intende superare”104. Nel saggio Oltrepassamento della metafisica105, Heidegger spiega che Überwindung (oltrepassamento) equivale a Verwindung (acccettazione-approfondimento, venire a capo, rimettersi da una malattia). Secondo Heidegger con il suo oltrepassamento la metafisica non scompare ma permane sotto forma diversa e vige sulla distinzione tra essere e ente106. Nel 1949 Heidegger scrive un’introduzione a che Che cos’è metafisica? intitolata Il ritorno nel fondamento della metafisica, dove spiega che la scoperta dell’essere come fondamento coincide con un ritorno della metafisica a tale fondamento; passare attraverso la metafisica non significa quindi andare oltre o dopo di essa quanto piuttosto ritornare a ciò che c’era “prima” di essa. Questo ritorno coincide con lo studio dei presocratici, i pensatori prima della metafisica aristotelico platonica. Secondo l’interpretazione di Berti, il discorso heideggeriano del oltrepassamento indica in realtà non il rigetto della metafisica ma piuttosto “ciò che i Greci avevano indicato come metafisica, ossia un discorso che va oltre la scienza e la 103 Berti 1983, p. 24. 104 Berti 1983, p. 25. 105 Heidegger 1936, pp. 45-66.. 106 Berti 1983, p. 25. 42 tecnica”107. L’oltrepassamento heideggeriano, riprendendo il significato “greco” di metafisica fa segno verso un discorso che sappia andare oltre la tecnica e la scienza. Ciò spiega il suo continuo rinvio ai greci. “Se poi il discorso di Heidegger – continua Berti – allude anche a qualcosa che sta veramente oltre la stessa metafisica, cioè il mistero, l’insondabile, il super-razionale, allora questo oltrepassamento non è in contrasto con la metafisica ma è ammesso dagli stessi metafisici”108. Secondo questa impostazione Berti può dire che, al di là dei suoi sforzi, Heidegger sia rimasto “un metafisico per tutta la vita”109. Ciò su cui si vuole richiamare l’attenzione è il fatto che Heidegger, secondo Berti ha professato un tipo di metafisica del tutto particolare, vale a dire una metafisica dell’essere concepito come univoco, ossia un aristotelismo di tipo platonizzante, della cui insufficienza egli stesso si è presto reso conto nel suo desiderio di andare oltre. L’idea di Heidegger e che bisogna uscire dalla metafisica perchè bisogna lasciare aperto uno spiraglio a ciò che sta oltre la stessa metafisica, l’ambito del sopra-razionale, sia questo l’ambito della fede o della poesia. Questo discorso però, non esclude la metafisica anzi la presuppone. Essa dovrà essere intesa come quel discorso che, argomentando in una certa maniera, sarà in grado di mostrare che c’è uno spazio ulteriore rispetto a quello della scienza o della tecnica. Lo scopo di questa ultima parte era di dare un esempio di come bisognasse impostare una critica a un pensiero quale quello di Heidegger. Le analisi di Berti mostrano come la critica heideggeriana alla meafisica possa essere meglio intesa e criticata a sua volta mettendo in luce e lavorando sullo stesso concetto heideggeriano di metafisica. La metafisica in senso assoluto di cui parla parla Heidegger diventa nella lettura di Berti “la metafisica di Heidegger”. Riducendo la portata dei concetti heideggeriani e mostrando, in questo modo, come questi siano diretti solo contro un “modo” particolare di fare metafisica e non contro la metafisica tout-court110, Berti riesce a tenere in piedi l’edificio metafisico e a sostenere che non c’è bisogno di liberarsene, quanto di riuscire a recepire le istanze della critica e trasformarlo secondo queste. La nostra 107 Berti 1983. p. 27. 108 Berti 1983. p. 27. 109 Berti 1983, pag 27. 110 “Abbiamo visto come ciascuno di questi tentativi abbia colpito un particolare tipo di metafisica, scambiandola per la metafisica tout court, senza però essere riusciti ad eliminare la possibilità di qualsiasi metafisica”. Berti 1983, p. 38. 43 impressione in merito a questo tipo di lettura è che essa non condividendo i presupposti del discorso heideggeriano sulla meafisica – per Heidegger la metafisica come l’essere è una – abbia gioco facile nel ridimensionarne la portata e la verità. La domanda che sorge in questo caso è se quella di Berti, ponendosi subito al di fuori dei presupposti heideggeriani, sia una vera critica ad Heidegger e non un suo “semplice” rifiuto e se poi, la trasformazione radicale del concetto di metafisica (che poi non è altro che la filosofia stessa) non comporti la necessità di abbandonarne il anche il nome. Quello che Berti si chiede – quando Heidegger propone il passo indietro o l’oltrepassamento – è: di quale “forma” di metafisica si sta parlando? Quale metafisica? Quale concezione dell’essere alla sua base? E ancora, a partire dal concetto heideggeriano di metafisica (che non coinvolge tutta la metafisica) e della necessità del suo oltrepassamento è possibile salvare ancora una metafisica accogliendo le istanze della critica che le vengono rivolte? Secondo la lettura di Berti, il tentativo heideggeriano di oltrepassare la metafisica finisce in realtà col lasciarla intatta tant’è che Heidegger ripropone mutatis mutandis la stessa tematica originaria della metafisica greca: la questione dell’essere. Alla domanda se poi dopo i vari tentativi di superamento, sia ancora possibile e abbia senso “fare” metafisica Berti risponde positivamente in quanto fare metafisica ne va del “bisogno stesso della filosofia”111. Egli scrive: “solo la rinuncia completa a filosofare può comportare infatti l’effettiva impossibilità di una simile metafisica, ma una siffatta rinuncia sarebbe rinuncia alla stessa umanità, e comunque rinuncia a discutere [...] naturalmente non pretendo di proporre una metafisica nuova, anzitutto perchè non ne sarei capace, e poi perchè forse non ce n’è bisogno, in quanto di metafisiche ce ne sono già abbastanza e, come prima cosa, è bene cercare di riconoscerle esattamente e di rendersi conto della peculiarità di ciascuna, nonchè della sua eventuale validità. Ecco il valore anche teoretico della storia della filosofia”112. A quale nucleo speculativo la metafisica debba attingere Berti risponde che: “Ha ragione Heidegger quando afferma che l’unica vera filosofia è quella dei greci, perchè la filosofia è stata inventata dai greci e fare filosofia significa pensare alla maniera dei greci [...]. I greci hanno invenato la flosofia perchè hanno scoperto che la realtà, cioè l’esperienza umana, la vita la storia è problematica, cioè ha 111 Berti 1983, p. 38. 112 Berti 1983, p. 39. 44 bisogno di una spiegazione, di un perchè, dovunque e comunque tale perchè venga individuato113...”. Bibliografia Berti E. 1985 Überwindung della metafisica?, in Id., La metafisica e il problema del suo superamento, Gregoriana, Padova 1985. Berti E. 1992 Aristotele nel Novecento, Laterza, Roma-Bari 1992. Esposito C. 1997 Il periodo di Marburgo (1923-28) ed <<essere e Tempo>>: dalla Fenomenologia all’ontologia fondamentale, in Guida a Heidegger, a cura di F. Volpi, Laterza, Roma-Bari 1997, 20054, pp. 113-166. Fabris A. 2005 Essere e Tempo di Heidegger. Introduzione alla lettura, Carocci, Roma 2005. Gadamer H.G. 1983 Heideggers Wege. Studien zum Spätwerk, Mohr, Tübingen 1983 (trad. it. di R. Cristin e G. Moretto, I sentieri di Heidegger, Marietti, Genova 1987). 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